Per la serie 'preti sovversivi' riporto la lettera di 11 preti sulla sicurezza e la legalità.
Condivido in pieno tutto quello che dicono
Accoglienza, sicurezza e legalità per tutti:
no alle discriminazioni e al razzismo
Come gruppo di preti abbiamo sentito l’esigenza di incontrarci e di esprimerci reciprocamente ragionevoli speranze insieme a motivi di preoccupazione e disagio. Vogliamo condividere in modo pubblico i pensieri, le considerazioni e le scelte che sono state per noi sostegno nel continuare, anzi intensificare l’impegno per la giustizia, la pace e l’accoglienza.
1. Siamo fortemente preoccupati di quanto sta avvenendo nel nostro Paese, tanto più nel contesto di un dibattito sulla sicurezza caratterizzato da toni e contenuti che ricordano periodi cupi della storia d’Italia e d’Europa: la decisione di prendere le impronte digitali ai bambini Rom ha suscitato giusta indignazione e ha rivelato - se ancora ce ne fosse stato bisogno - la vera faccia di una politica asservita soltanto agli interessi dei ricchi e dei potenti. La complessità del momento storico; gli accelerati e profondi cambiamenti nella nostra società e sul Pianeta; la diffusa incertezza che riguarda il lavoro e la vita quotidiana di tanti cittadini, la rapidità e l’ampiezza del fenomeno migratorio, gli atti di criminalità e violenza possono indurre comprensibili paure cui è necessario far fronte con pacatezza, con analisi e riflessioni, con provvedimenti adeguati.
L’analisi amplificata e strumentale di alcuni singoli episodi non ha consentito di esaminare in modo accurato il migliorato quadro generale dell’ordine pubblico nel nostro Paese; complice una strategia mediatica disattenta alle esigenze dei più poveri è stato generato un clima di paura che tende ad investire tutti i settori della vita pubblica e privata; immediata la tentazione di offrire risposte fondate sulla garanzia delle armi e dell’esercito, sulla penalizzazione pregiudiziale di alcune categorie di persone e sulla crescita del controllo con la conseguente limitazione del diritto alla riservatezza della sfera personale.
In questo modo le cause della paura possono essere facilmente attribuite sempre e solo agli “altri”, con continue pericolose generalizzazioni: si alimenta un giudizio negativo nei confronti di tutti gli immigrati irregolari e un’ombra su tutti gli stranieri, si avvallano pregiudizi inaccettabili verso tutti i nomadi e così via. Se si riesce a far credere che l’insicurezza sia provocata sempre e solo da chi viene da altrove, la sicurezza non può che derivare dall’allontanamento; e così la presenza senza permesso sul nostro territorio diventa un reato; invece di arrivare alla loro chiusura e alla realizzazione di strutture diverse, i CPT diventano sempre più simili alle carceri, con detenzioni fino a 18 mesi... E così vengono completamente dimenticati le cause della presenza di migliaia di persone e i viaggi disperati la cui frequente trasformazione in tragedia nel mare o nei cassoni dei camion non fa quasi più notizia sui nostri giornali.
Certo che ci sono delle questioni aperte, ma non possiamo accettare che il dibattito sulla sicurezza possa riguardare soltanto "noi", nelle nostre città: è una condizione che riguarda il diritto di tutte le persone, per il solo fatto che vivono sulla faccia del Pianeta. Del male e del bene possiamo essere tutti protagonisti e responsabili: la sicurezza interessa i cittadini italiani quanto le donne straniere "badanti" nelle case; gli immigrati tutti, qualsiasi sia la loro condizione; i nomadi cittadini italiani e no, i loro bambini/e in particolare; tutti gli operai italiani o stranieri, assunti regolarmente o in nero, coloro che sono in carcere, italiani e stranieri; le donne prostitute; la sicurezza riguarda le donne che in percentuale drammatica subiscono violenza fra le pareti domestiche; gli adolescenti, i giovani, gli adulti coinvolti nella dipendenza dell’alcol e delle droghe; tutte le persone che soffrono solitudine e angoscia fino al suicidio.
L’insicurezza è strutturale, riguarda i milioni di persone impoverite e affamate, oppresse e sfruttate, vittime della guerra e di violenze tremende, condizioni di cui in un modo o nell’altro siamo complici; mentre pretendiamo sicurezza per noi contribuiamo all’insicurezza di gran parte dell’umanità. Riteniamo importante e doveroso affrontare i problemi e nello stesso tempo indicare le esperienze positive in atto, del tutto e volutamente taciute in questi mesi. Ci sembra inaccettabile anche il linguaggio della comunicazione: sembra di vivere in territori e città assediate, infestate dai nemici, di "essere in una guerra" che giustifica la valorizzazione del ruolo dell’esercito.
È demagogico dichiarare pubblicamente che tutte le persone clandestine devono essere allontanate e poi impantanarsi in precisazioni e distinguo relativamente alle "badanti", indispensabili alle nostre famiglie salvo poi ribadire l’allontanamento di tutti; e dimenticare sempre le migliaia di lavoratori nelle campagne e nell’edilizia regolari per il mercato del lavoro, irregolari per la legge. La questione dell’immigrazione segna e segnerà a lungo le nostre società e la convivenza pacifica fra persone diverse per cultura e fede religiosa, dipenderà dalle nostre scelte di oggi. Una doverosa e seria cooperazione internazionale; lo svincolarsi dalle complicità internazionali nell’impoverimento, nell’ oppressione, nella violazione dei diritti umani, nelle violenze e nelle guerre devono essere impegni prioritari della politica. E uniti a questi un’assunzione di responsabilità più seria e adeguata nella politica e nella legislazione sui flussi migratori per non favorire, come la legge attuale, la clandestinità; per non considerare gli immigrati una forza lavoro necessaria e poi una presenza indesiderata.
La demagogia e i massimalismi rispondono agli istinti e alle emozioni e non affrontano in modo veritiero e umano i problemi. Le impronte digitali ai bambini rom vengono giustificate con l’intenzione di salvaguardarli: in realtà attuano una discriminazione razzista dal momento che migliaia di bambini e adolescenti del nostro paese dovrebbero essere salvaguardati, specie quelli che vivono in condizioni di degrado e in zone controllate dalla criminalità.
2. Ci riferiamo con convinzione, umiltà a una ricerca che sempre continua al Vangelo di Gesù di Nazaret; con la Chiesa, comunità di fede, ci sentiamo chiamati ad annunciare con coraggio e a testimoniare con coerenza il Vangelo nella storia. Come ribadito dal Concilio Vaticano II, il piano della fede e quello della politica devono essere considerati distinti ma non separati. Per questo non possiamo accettare che certi provvedimenti legislativi, come ad esempio "il pacchetto sicurezza", siano varati evocando l’identità e le radici cristiane in modo ideologico, capzioso ed evidentemente strumentale. Ci chiediamo anche se i 14 milioni di euro stanziati con questa finalità nella Regione Friuli Venezia Giulia - a fronte di un netto e facilmente documentabile calo dei crimini - non avrebbero potuto essere utilizzati per migliorare quella qualità delle infrastrutture e dei servizi che potrebbe garantire una vera prevenzione, concreto antidoto alla possibilità di delinquere.
Il Vangelo di Gesù ci insegna in modo incessante, incalzante e chiaro a praticare la giustizia, l’accoglienza, la pace, l’attenzione ad ogni persona, la condivisione della condizione di chi fa più fatica, di chi è più fragile, debole, in necessità... Questo è il messaggio cui attingere orientamento, luce e coraggio per le scelte politiche più rispondenti ai criteri di dignità e uguaglianza di tutte le persone, come del resto ci richiama anche la nostra esemplare e minacciata Costituzione repubblicana. Non riusciamo a comprendere le parole di compiacimento dei responsabili della Conferenza Episcopale Italiana sul nuovo clima politico esistente nel nostro Paese, peraltro ben presto smentite dall’evolversi della situazione parlamentare: secondo noi non c’è un vero confronto, anzi il dibattito in corso è inquietante per i suoi tratti disumani nei confronti dei diversi, degli stranieri e dei nomadi e per la sistematica identificazione tra i problemi e le persone, tra la soluzione delle questioni ed il rifiuto, la ghettizzazione o l’espulsione.
Ci sono sembrate incoraggianti le parole piene di delicata attenzione e di condivisione dell’Arcivescovo di Milano monsignor Dionigi Tettamanzi anche a proposito della presenza dell’esercito nelle città e anche le dichiarazioni della Fondazione Migrantes e di Famiglia Cristiana. Mai come adesso è importante evidenziare la necessità di segni in grado di concretizzare la fede e gli ideali: nel momento in cui la Chiesa contesta giustamente il reato di clandestinità dovrebbe contemporaneamente ampliare di molto la disponibilità all’accoglienza nelle tante strutture di sua proprietà; esse potrebbero essere gestite in collaborazione fra volontariato e istituzioni pubbliche, diventando così un’alternativa concreta e sostenibile alla detenzione nei CPT. È preoccupante che questo clima diffuso trovi consenso in tante persone, anche in chi si dichiara cristiano e frequenta la chiesa.
3. Quella della pace è la questione decisiva e dirimente tutte le altre; la si può perseguire soltanto attraverso un’educazione permanente alla pratica della non violenza attiva, al rifiuto di costruire, utilizzare e commerciare armi. Vogliamo ribadire la necessità di una progressiva riconversione ad uso civile dei siti militari - in modo particolare la base Usaf di Aviano - e di quel ripudio della guerra dichiarato nell’articolo 11 della Costituzione: essa produce morti, feriti, distruzioni, devastazioni dell’ambiente vitale; peggiora tutto e nulla risolve. Riconosciamo un segno di ragionevole speranza nella sentenza del Tar che blocca i lavori della base usar di Vicenza, rilevando da una parte l’inconsistenza di una decisione presentata a suo tempo come indiscutibile, dall’altra la gravità dell’impatto ambientai e e l’importanza fondamentale di compiere scelte tenendo conto della manifesta volontà dei cittadini.
Queste nostre considerazioni nascono da una quotidiana condivisione con persone che vivono momenti di amicizia, fatica, accompagnamento e arricchimento umano nella reciprocità: sono giovani, donne e uomini che vivono il cammino di liberazione dalla dipendenza; detenuti nelle carceri; sofferenti nel corpo e nella psiche; sono stranieri, tanti dei quali impegnati con dedizione, generosità, disponibilità operosa; sono persone che vogliono servire seriamente il bene comune nelle istituzioni e nella politica.
Sono considerazioni elaborate nelle nostre comunità locali in relazione con le comunità del Pianeta, nutrite ed interpellate dalla Parola, dall’Eucarestia e dalle provocazioni della storia che chiamano a esserci, a condividere e a prendere posizione.
don Pierluigi Di Piazza (Zugliano)
don Federico Schiavon (Udine)
don Franco Saccavini (Udine)
don Giacomo Tolot (Pordenone)
don Piergiorgio Rigolo (Pordenone)
Andrea Bellavite (Gorizia)
Don Alberto De Nadai (Gorizia)
don Luigi Fontanot (Fiumicello)
don MarIo Vatta (Trieste)
don Albino Bizzotto (Padova)
padre Alessandro Paradisi, monaco benedettino.
mercoledì 27 agosto 2008
Accoglienza, sicurezza e legalità per tutti
martedì 19 agosto 2008
Blood for oil
C'è un problema energetico: l'Europa dipende troppo dalla Russia, si decide allora di fare un oleodotto che attraversa la la Georgia e salta la Russia. Europa ed America sono d'accordo, contraria ovviamente la Russia. Fin qui tutto normale, ci si aspettano pressioni politiche, scontri economici e commerciali, boicottaggi, dazi ecc. Invece no, si mettono in campo problemi politici, umanitari, di autodeterminazione fra i popolo e si fa la guerra. Nella zona c'è l'Ossezia divisa in nord, in Russia, e sud in Georgia. La Russia appoggia l'indipendentismo degli ossezi e la Georgia (forse sperando anche in un aiuto dell'America) attacca l'Ossezia, la Russia contrattacca e occupa la Georgia fino alla capitale. Solo nei primi bombardamenti 2000 morti, centinaia di migliaia di sfollati, città completamente distrutte.
Quello che mi fa orrore è che nel 2008 ancora risolviamo i problemi con la guerra, e pare una cosa normale. Certo c'è indignazione per l'attacco russo, ma perchè siamo filo Georgia, anche l'analisi che faccio sopra deriva dal TG1 che per una volta ci racconta la guerra prima dello sport (ma avete mai visto immagini o commenti sul Darfur?). Pare normale difendere la propria indipendenza energetica con le e bombe, fare morti, feriti, sfollati... Non voglio essere utopista, il male esiste, dalla lite di condominio alle guerre internazionali, c'è l'egoismo, l'interesse personale che muovono molte delle nostre scelte, ma non lo si può accettare o considerare normale. Bisogna opporsi al male. Non si può più dire "da lì deve passare un oleodotto...", oppure "c'è il coltan è chiaro che fanno la guerra". Non si può accettare l'orrore. I governi mondiali non fingono nemmeno più, in Iraq hanno cercato delle scusa improbabili e poi hanno attaccato lo stesso, anche quando si erano dimostrate infondate. Come uomo e come cristiano mi oppongo a tutto questo e continuerò a gridare la mia indignazione
Quello che mi fa orrore è che nel 2008 ancora risolviamo i problemi con la guerra, e pare una cosa normale. Certo c'è indignazione per l'attacco russo, ma perchè siamo filo Georgia, anche l'analisi che faccio sopra deriva dal TG1 che per una volta ci racconta la guerra prima dello sport (ma avete mai visto immagini o commenti sul Darfur?). Pare normale difendere la propria indipendenza energetica con le e bombe, fare morti, feriti, sfollati... Non voglio essere utopista, il male esiste, dalla lite di condominio alle guerre internazionali, c'è l'egoismo, l'interesse personale che muovono molte delle nostre scelte, ma non lo si può accettare o considerare normale. Bisogna opporsi al male. Non si può più dire "da lì deve passare un oleodotto...", oppure "c'è il coltan è chiaro che fanno la guerra". Non si può accettare l'orrore. I governi mondiali non fingono nemmeno più, in Iraq hanno cercato delle scusa improbabili e poi hanno attaccato lo stesso, anche quando si erano dimostrate infondate. Come uomo e come cristiano mi oppongo a tutto questo e continuerò a gridare la mia indignazione
Geni del marketing
Questa e' la confezione del cacao solidal coop
E questa quella del Nesquik
Che grandi!!! Boicotta la Nestlè
Che grandi!!! Boicotta la Nestlè
lunedì 11 agosto 2008
Preti 'sovversivi'
Continuando con i preti 'sovversivi' copio dal blog di don Vitaliano
E' interessante nell'articolo il cambio di prospettiva rispetto a quanto di solito si fa: Chierici infatti sostiene che la Chiesa dice cose giuste, ma poi la gente non le applica (anche per la lontananza della gerarchia dal popolo). Continuo a sentire forte questo distacco della chiesa gerarchica, e trovo altri credenti che sentono lo stesso probelma, doremmo cercare parole piu' incisive ed esempi piu' concreti, allora forse riusciremo a far suonare forte il messaggio evangelico
...dopo Sydney
L’impressione è che la gerarchia di Roma continui a sfogliare buoni propositi senza viverli assieme al popolo dei credenti i quali si arrendono a modesti tornaconti
Storie di fede e di tornaconti
di maurizio chierici
L’invito di Benedetto XVI ai ragazzi raccolti nel meeting australiano, conferma la dottrina morale della Chiesa: no alle guerre, al razzismo, ali’ emarginazione. Impegna ogni cattolico a combattere la povertà e a disertare l’iperconsumismo, pericolo mortale che allarga la diffidenza tra le classi fortunate e la folla dalle tasche vuote. Diventa radice di un disordine etico che soffia nel disordine sociale. Impossibile non essere d’accordo. Ogni fedele lo è.
Ecco lo sconcerto dell’inchiesta che fa sapere come in Italia la maggioranza dei cattolici obbedienti al magistero della Chiesa abbiano votato per i teologi delle impronte digitali, o per divorziati che confessano al telefono trasgressioni goderecce, o per signori che per pudore nascondono la tessera della loggia segreta P2 ma non la ricchezza che gli intrighi di banche e finanza hanno accumulato attorno ad un potere dai misteri impenetrabili. Potere ormai assoluto, come tutti sanno. Nessuno lo può giudicare, nemmeno tu: vecchia canzone trasformata nella legge che ammanetta la giustizia. Storie quotidiane della nostra democrazia privatizzata. Solo una curiosità: tornando in Italia da Sidney con l’entusiasmo che la fraternità accende, cosa avranno raccomandato i ragazzi ai genitori che hanno scelto la destra xenofoba per blindare conti, giornali e televisioni con leggi modellate sul tornaconto di una sola persona? Non proprio sola: la proteggono cortigiani insediati come guardaspalle in Parlamento. E i genitori il cui voto non tiene conto delle indicazioni del Papa, con quali parole possono avere risposto? E sacerdoti e vescovi e principi della Chiesa con quale passione operano nella società disuguale per favorire la messa un pratica delle raccomandazioni di Ratzinger?
L’impressione è che la gerarchia di Roma continui a sfogliare buoni propositi senza viverli assieme al popolo dei credenti i quali si arrendono a modesti tornaconti. Se votano così vuoi dire che Sua Santità va bene quando benedice i pellegrini dalla finestra di piazza San Pietro, per il resto meglio lasciar perdere, esistono profeti più piacevoli. Impressione italiana che riflette il dramma dei fedeli dell’America Latina, continente dove si raccoglie la maggioranza dei cattolici del mondo. Si è aperta una crisi della quale si parla poco anche se avvilisce il primato di Roma. Il Brasile perde un milione di cattolici l’anno: si rivolgono alle sette del nuovo protestantesimo. E chi mantiene l’obbedienza si trova a disagio per la lontananza di Roma dai problemi quotidiani dopo le ombre calate con educata perseveranza sulla teologia della liberazione: messi tra parentesi i preti che condividevano le pene dei meno felici cercando assieme una dignità sociale accettabile.
Vent’anni dopo l’oscuramento cosa è rimasto? «Dio e i poveri», risponde Pedro Casaldaliga, vescovo emerito di una sterminata diocesi brasiliana. L’ultima protesta sta provocando la scissione che minaccia le gerarchie romane del Venezuela. Per il momento limitata, ma l’allarme dei vescovi locali ne fa capire l’agitazione. Nello stato petrolifero di Zulia un anno fa è stata annunciata la nascita di una Chiesa Cattolica Riformata. La settimana scorsa, a Caracas, Leonardo Martin Saavedra, primate della Chiesa Anglicana in America Latina, ha consacrato i primi tre vescovi in apparenza cattolico-protestanti, e monsignor Ubaldo Santana, presidente della conferenza episcopale lancia l’allarme: attenti a non lasciarvi ingannare da preti senza vere gerarchie, sciolti da ogni castità e schierati col presidente Chavez. Ne vengono considerati «angeli politici». Non è proprio così. I preti della Chiesa riformata vivono nei barrios (favelas) e zone disagiate. Assieme a sacerdoti e missionarie cattoliche appoggiano l’impegno del governo a combattere la miseria.
La ribellione a Roma è forse il riflesso della ribellione alla sbiadita Chiesa locale, conservatrice e pragmatica nella difesa dei privilegi di una borghesia che non ha problemi di sopravvivenza. Ma se l’America è lontana e l’inquietudine moltiplica le sette, altre inquietudini attraversano le nostre abitudini.
Di ieri il botta e risposta tra «Noi siamo Chiesa» e il portavoce della sala stampa vaticana padre Federico Lombardi. Assieme a 58 associazioni cattoliche americane ed europee.Vittorio Bellavite di «Non siamo Chiesa» italiana, prega il Papa ad avviare un processo di riforma restando fedele agli aspetti positivi della dottrina cattolica sulla sessualità e abrogando la proibizione alla contraccezione. Le posizioni di Roma avrebbero esposto milioni di persone al rischio della vita nell’Africa divorata dall’Aids. Padre Lombardi si limita a dire: chi firma l’appello è noto per le posizioni contrastanti al magistero della Chiesa. Forse non al magistero, ma alla lontananza da situazioni drammatiche condivise da una certa parte di sacerdoti brasiliani i quali distribuiscono ai fedeli che tirano la vita nei gironi della miseria, le solite cose: profilattici, eccetera «per evitare lo sterminio africano». Non è la disperazione italiana; è una disperazione diversa, ma non tanto. Lo testimonia proprio «We are Church», Noi siamo Chiesa, movimento nato attorno all’appello firmato in Svizzera e Germania da 2 milioni e 300 mila fedeli. Ad inquietare i cattolici non banali non è solo una morale che riguarda sesso, controllo nascite, staminali, aborto ed eutanasia, ma la società che sta rialzando quei muri caduti vent’anni fa e si sperava per sempre. Cercano risposte negli incontri che si moltiplicano nelle vacanze: Cittadella di Assisi; interventi al convegno tra agosto e settembre della Rosa Bianca, cattolici cresciuti sulle testimonianze di Dossetti, Turoldo, Camillo Dal Raz, Scoppola, Ardigò, Prodi, Veltroni, Rosy Bindi. Tanti così.
Attenzione, questa Rosa Bianca non è il fiore rubato da Pezzotta e dal senatore Baccini: volevano trasformare in ventaglio elettorale il martirio di quattro ragazzi e il loro professore, decapitati nella Germania di Hitler. Stava per diventare l’icona del movimento politico del Baccini che ha favorito l’elezione di Alemanno postfascista a sindaco di Roma. Per fortuna un tribunale lo ha impedito.
Forse per approfondire la spiritualità dei cattolici berlusconiani, Macondo, associazione di impegno religioso diffusa nel Veneto e guidata da padre Giuseppe Stoppiglia a Pieve del Grappa, cuore del nord est leghista; Macondo, organizza fine agosto ad Asiago un raduno che ha per titolo: «Amore politico». Incontri col filosofo Robero Mancini ed Alessandra Comaso, magistrato di Trapani, impegnata nell’educazione alla legalità. L’introduzione di Stoppiglia fa capire quale sarà il filo conduttore: «Parliamo di politica anche per reagire al clima di sgomento e di rassegnazione: subire l’esito e il significato degli avvenimenti è segno di subalternità e di indifferenza verso xenofobia e razzismo che fanno leva sulla paura. Il governo dei ricchi voluto dai poveri è democrazia ma non è giustizia. Se la Chiesa tace o acconsente, disorienta. Il ricco che esibisce il potere della ricchezza e l’ammiratore del ricco sono tipi umani regrediti nell’evoluzione, Il ricco ha necessità di esercitare il potere sugli altri, ma il ricco ha sempre paura: per difendere il potere sì costruisce leggi favorevoli. Quando il ricco diventa modello sociale, il problema non è tanto politico, ma antropologico. Privilegia i lati deteriori della natura; governa con blandizie e sviluppa aspetti non essenziali alla convivenza umana. Prima o poi questo tipo di violenza svuota le energie della gente dirottandole su obiettivi minuscoli: l’interesse privato e il possesso materiale primeggiano sugli ideali. La nostra società - scuola e cultura, religione e Chiesa, politica e informazione, vita quotidiana e famiglie - non ha saputo produrre frutti migliori per evitare che la maggioranza fosse attratta da un certo esemplare umano. Bisogna allontanare i ricchi epuloni che banchettano sulle anime dei poveri. Provocazione troppo forte? Provocare è l’esigenza della verità. Solo se abbiamo l’occhio lungo e libero da ossequi storici programmati, possiamo accorgerci del messaggio di Cristo, quello della “folla dei servi inutili”. Dobbiamo ripensare e discutere assieme per sconfiggere la rassegnazione». Radicale ma chiaro. Nelle stesse ore arriva l’annuncio che la Conferenza dei vescovi italiani progetta parrocchie disegnate da grandi architetti. Altari preziosi, che allegria; anche se non sono proprio i mattoni dei quali i cattolici a disagio sentono il bisogno. Desiderano che la Chiesa riprenda posto fra i problemi della gente, non importa dove e non importa in quale cornice.
mchierici2@libero.it (I’Unità 28.07.08)
E' interessante nell'articolo il cambio di prospettiva rispetto a quanto di solito si fa: Chierici infatti sostiene che la Chiesa dice cose giuste, ma poi la gente non le applica (anche per la lontananza della gerarchia dal popolo). Continuo a sentire forte questo distacco della chiesa gerarchica, e trovo altri credenti che sentono lo stesso probelma, doremmo cercare parole piu' incisive ed esempi piu' concreti, allora forse riusciremo a far suonare forte il messaggio evangelico
...dopo Sydney
L’impressione è che la gerarchia di Roma continui a sfogliare buoni propositi senza viverli assieme al popolo dei credenti i quali si arrendono a modesti tornaconti
Storie di fede e di tornaconti
di maurizio chierici
L’invito di Benedetto XVI ai ragazzi raccolti nel meeting australiano, conferma la dottrina morale della Chiesa: no alle guerre, al razzismo, ali’ emarginazione. Impegna ogni cattolico a combattere la povertà e a disertare l’iperconsumismo, pericolo mortale che allarga la diffidenza tra le classi fortunate e la folla dalle tasche vuote. Diventa radice di un disordine etico che soffia nel disordine sociale. Impossibile non essere d’accordo. Ogni fedele lo è.
Ecco lo sconcerto dell’inchiesta che fa sapere come in Italia la maggioranza dei cattolici obbedienti al magistero della Chiesa abbiano votato per i teologi delle impronte digitali, o per divorziati che confessano al telefono trasgressioni goderecce, o per signori che per pudore nascondono la tessera della loggia segreta P2 ma non la ricchezza che gli intrighi di banche e finanza hanno accumulato attorno ad un potere dai misteri impenetrabili. Potere ormai assoluto, come tutti sanno. Nessuno lo può giudicare, nemmeno tu: vecchia canzone trasformata nella legge che ammanetta la giustizia. Storie quotidiane della nostra democrazia privatizzata. Solo una curiosità: tornando in Italia da Sidney con l’entusiasmo che la fraternità accende, cosa avranno raccomandato i ragazzi ai genitori che hanno scelto la destra xenofoba per blindare conti, giornali e televisioni con leggi modellate sul tornaconto di una sola persona? Non proprio sola: la proteggono cortigiani insediati come guardaspalle in Parlamento. E i genitori il cui voto non tiene conto delle indicazioni del Papa, con quali parole possono avere risposto? E sacerdoti e vescovi e principi della Chiesa con quale passione operano nella società disuguale per favorire la messa un pratica delle raccomandazioni di Ratzinger?
L’impressione è che la gerarchia di Roma continui a sfogliare buoni propositi senza viverli assieme al popolo dei credenti i quali si arrendono a modesti tornaconti. Se votano così vuoi dire che Sua Santità va bene quando benedice i pellegrini dalla finestra di piazza San Pietro, per il resto meglio lasciar perdere, esistono profeti più piacevoli. Impressione italiana che riflette il dramma dei fedeli dell’America Latina, continente dove si raccoglie la maggioranza dei cattolici del mondo. Si è aperta una crisi della quale si parla poco anche se avvilisce il primato di Roma. Il Brasile perde un milione di cattolici l’anno: si rivolgono alle sette del nuovo protestantesimo. E chi mantiene l’obbedienza si trova a disagio per la lontananza di Roma dai problemi quotidiani dopo le ombre calate con educata perseveranza sulla teologia della liberazione: messi tra parentesi i preti che condividevano le pene dei meno felici cercando assieme una dignità sociale accettabile.
Vent’anni dopo l’oscuramento cosa è rimasto? «Dio e i poveri», risponde Pedro Casaldaliga, vescovo emerito di una sterminata diocesi brasiliana. L’ultima protesta sta provocando la scissione che minaccia le gerarchie romane del Venezuela. Per il momento limitata, ma l’allarme dei vescovi locali ne fa capire l’agitazione. Nello stato petrolifero di Zulia un anno fa è stata annunciata la nascita di una Chiesa Cattolica Riformata. La settimana scorsa, a Caracas, Leonardo Martin Saavedra, primate della Chiesa Anglicana in America Latina, ha consacrato i primi tre vescovi in apparenza cattolico-protestanti, e monsignor Ubaldo Santana, presidente della conferenza episcopale lancia l’allarme: attenti a non lasciarvi ingannare da preti senza vere gerarchie, sciolti da ogni castità e schierati col presidente Chavez. Ne vengono considerati «angeli politici». Non è proprio così. I preti della Chiesa riformata vivono nei barrios (favelas) e zone disagiate. Assieme a sacerdoti e missionarie cattoliche appoggiano l’impegno del governo a combattere la miseria.
La ribellione a Roma è forse il riflesso della ribellione alla sbiadita Chiesa locale, conservatrice e pragmatica nella difesa dei privilegi di una borghesia che non ha problemi di sopravvivenza. Ma se l’America è lontana e l’inquietudine moltiplica le sette, altre inquietudini attraversano le nostre abitudini.
Di ieri il botta e risposta tra «Noi siamo Chiesa» e il portavoce della sala stampa vaticana padre Federico Lombardi. Assieme a 58 associazioni cattoliche americane ed europee.Vittorio Bellavite di «Non siamo Chiesa» italiana, prega il Papa ad avviare un processo di riforma restando fedele agli aspetti positivi della dottrina cattolica sulla sessualità e abrogando la proibizione alla contraccezione. Le posizioni di Roma avrebbero esposto milioni di persone al rischio della vita nell’Africa divorata dall’Aids. Padre Lombardi si limita a dire: chi firma l’appello è noto per le posizioni contrastanti al magistero della Chiesa. Forse non al magistero, ma alla lontananza da situazioni drammatiche condivise da una certa parte di sacerdoti brasiliani i quali distribuiscono ai fedeli che tirano la vita nei gironi della miseria, le solite cose: profilattici, eccetera «per evitare lo sterminio africano». Non è la disperazione italiana; è una disperazione diversa, ma non tanto. Lo testimonia proprio «We are Church», Noi siamo Chiesa, movimento nato attorno all’appello firmato in Svizzera e Germania da 2 milioni e 300 mila fedeli. Ad inquietare i cattolici non banali non è solo una morale che riguarda sesso, controllo nascite, staminali, aborto ed eutanasia, ma la società che sta rialzando quei muri caduti vent’anni fa e si sperava per sempre. Cercano risposte negli incontri che si moltiplicano nelle vacanze: Cittadella di Assisi; interventi al convegno tra agosto e settembre della Rosa Bianca, cattolici cresciuti sulle testimonianze di Dossetti, Turoldo, Camillo Dal Raz, Scoppola, Ardigò, Prodi, Veltroni, Rosy Bindi. Tanti così.
Attenzione, questa Rosa Bianca non è il fiore rubato da Pezzotta e dal senatore Baccini: volevano trasformare in ventaglio elettorale il martirio di quattro ragazzi e il loro professore, decapitati nella Germania di Hitler. Stava per diventare l’icona del movimento politico del Baccini che ha favorito l’elezione di Alemanno postfascista a sindaco di Roma. Per fortuna un tribunale lo ha impedito.
Forse per approfondire la spiritualità dei cattolici berlusconiani, Macondo, associazione di impegno religioso diffusa nel Veneto e guidata da padre Giuseppe Stoppiglia a Pieve del Grappa, cuore del nord est leghista; Macondo, organizza fine agosto ad Asiago un raduno che ha per titolo: «Amore politico». Incontri col filosofo Robero Mancini ed Alessandra Comaso, magistrato di Trapani, impegnata nell’educazione alla legalità. L’introduzione di Stoppiglia fa capire quale sarà il filo conduttore: «Parliamo di politica anche per reagire al clima di sgomento e di rassegnazione: subire l’esito e il significato degli avvenimenti è segno di subalternità e di indifferenza verso xenofobia e razzismo che fanno leva sulla paura. Il governo dei ricchi voluto dai poveri è democrazia ma non è giustizia. Se la Chiesa tace o acconsente, disorienta. Il ricco che esibisce il potere della ricchezza e l’ammiratore del ricco sono tipi umani regrediti nell’evoluzione, Il ricco ha necessità di esercitare il potere sugli altri, ma il ricco ha sempre paura: per difendere il potere sì costruisce leggi favorevoli. Quando il ricco diventa modello sociale, il problema non è tanto politico, ma antropologico. Privilegia i lati deteriori della natura; governa con blandizie e sviluppa aspetti non essenziali alla convivenza umana. Prima o poi questo tipo di violenza svuota le energie della gente dirottandole su obiettivi minuscoli: l’interesse privato e il possesso materiale primeggiano sugli ideali. La nostra società - scuola e cultura, religione e Chiesa, politica e informazione, vita quotidiana e famiglie - non ha saputo produrre frutti migliori per evitare che la maggioranza fosse attratta da un certo esemplare umano. Bisogna allontanare i ricchi epuloni che banchettano sulle anime dei poveri. Provocazione troppo forte? Provocare è l’esigenza della verità. Solo se abbiamo l’occhio lungo e libero da ossequi storici programmati, possiamo accorgerci del messaggio di Cristo, quello della “folla dei servi inutili”. Dobbiamo ripensare e discutere assieme per sconfiggere la rassegnazione». Radicale ma chiaro. Nelle stesse ore arriva l’annuncio che la Conferenza dei vescovi italiani progetta parrocchie disegnate da grandi architetti. Altari preziosi, che allegria; anche se non sono proprio i mattoni dei quali i cattolici a disagio sentono il bisogno. Desiderano che la Chiesa riprenda posto fra i problemi della gente, non importa dove e non importa in quale cornice.
mchierici2@libero.it (I’Unità 28.07.08)
venerdì 1 agosto 2008
LA RIVOLUZIONE
Copio dal sito di don Franco Barbero
Nessuno si spaventi: rivoluzione mi pare davvero la parola più appropriata per cercare di interpretare questa pagina del Vangelo. Può essere successo che anche per noi, avendola letta, sentita e ascoltata mille volte, essa sia diventata quasi insignificante, irrilevante.
Spesso la predicazione cristiana riesce a rendere incolori le pagine più pittoresche e a rendere insapori anche i "piatti biblici" più appetitosi. Sappiamo bene che il vangelo non ha qui lo scopo di farci la cronaca esatta di quel pomeriggio in cui Gesù incontrò questa folla.
Commento alla lettura biblica - domenica 3 agosto 2008
Udito ciò, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in disparte in un luogo deserto. Ma la folla, saputolo, lo seguì a piedi dalle città. Egli, sceso dalla barca, vide una grande folla e sentì compassione per loro e guarì i loro malati. Sul far della sera, gli si accostarono i discepoli e gli dissero: "Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perchè vada nei villaggi a comprarsi da mangiare". Ma Gesù rispose: "Non occorre che vadano; date loro voi stessi da mangiare". Gli risposero: "Non abbiamo che cinque pani e due pesci!". Ed egli disse: "Portatemeli qua". E dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull'erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla. Tutti mangiarono e furono saziati; e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini (Matteo, 14, 13-21).
Udito ciò, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in disparte in un luogo deserto. Ma la folla, saputolo, lo seguì a piedi dalle città. Egli, sceso dalla barca, vide una grande folla e sentì compassione per loro e guarì i loro malati. Sul far della sera, gli si accostarono i discepoli e gli dissero: "Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perchè vada nei villaggi a comprarsi da mangiare". Ma Gesù rispose: "Non occorre che vadano; date loro voi stessi da mangiare". Gli risposero: "Non abbiamo che cinque pani e due pesci!". Ed egli disse: "Portatemeli qua". E dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull'erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla. Tutti mangiarono e furono saziati; e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini (Matteo, 14, 13-21).
Nessuno si spaventi: rivoluzione mi pare davvero la parola più appropriata per cercare di interpretare questa pagina del Vangelo. Può essere successo che anche per noi, avendola letta, sentita e ascoltata mille volte, essa sia diventata quasi insignificante, irrilevante.
Spesso la predicazione cristiana riesce a rendere incolori le pagine più pittoresche e a rendere insapori anche i "piatti biblici" più appetitosi. Sappiamo bene che il vangelo non ha qui lo scopo di farci la cronaca esatta di quel pomeriggio in cui Gesù incontrò questa folla.
La struttura del messaggio sovversivo di queste righe ha un punto di partenza: Gesù "ebbe compassione". Nel linguaggio biblico significa che Gesù si coinvolse visceralmente, non si mise semplicemente a deplorare i responsabili della fame del popolo, ad analizzare il fenomeno, a invitare alla pazienza. No, Gesù si sentì partecipe della loro condizione.
Ecco la prima "struttura profonda" della rivoluzione di cui oggi come ieri abbiamo bisogno. Bandire da noi l'indifferenza a livello personale e comunitario.
Questa è la testimonianza bruciante dei profeti e di Gesù di Nazareth che noi cristiani non abbiamo ancora metabolizzato. Ogni giorno c'è la "passione" dei più deboli, l'emarginazione degli stranieri, la violenza contro le donne e gli omosessuali, la persecuzione dei rom ... e le nostre chiese "discorrono", promulgano documenti ...
Non siamo "comunità di compassione". Mettiamoci pure tutti davanti a questa constatazione, non per colpevolizzarci, ma per convertirci ai piccoli, possibili passi di condivisione.
Il regno di Dio accade quando io mi apro concretamente a questo "noi". Qui sta oggi la prima rivoluzione ...
Dove trovare il pane?
Il pane e il companatico ci sono: eccome. Ce n'è in abbondanza Tant'è che quando ognuno ha tirato fuori le scorte che teneva solo per sè o ha fatto fiorire nel suo cuore la decisione di condividere, se ne sono avanzate dodici ceste, dice il vangelo nel suo linguaggio simbolico.
Il vero problema non è ciò che manca: è ciò che non si divide. La scomoda verità che il vangelo rivela è che i doni di Dio, i frutti della terra, i beni per la vita delle creature, ci sono e sono abbondanti. Solo lo sciupio, l'incuria, l'accumulo e l'avidità rendono impossibile la gioia del regno di Dio su questa terra: "Tutti mangiarono e furono sazi e si portarono via, dei pezzi avanzati, dodici ceste piene".
La proposta di Gesù non ha perso per nulla la sua attualità e, si noti, la sua efficacia.
Guardiamo le nostre città. Si popolano di case lussuose e spesso vuote, mentre cresce il numero di chi è senza casa o vive in catapecchie fatiscenti.
Il silenzio della nostra chiesa (che festeggia il papa in vacanza a Bressanone con enormi spese per garantirgli serenità) è un messaggio chiaro: non ha il coraggio di vivere questa proposta e di presentare questa "provocazione".
Non è tollerabile una chiesa in cui si distribuiscono milioni di ostie, di particole, ma dove non si condivide radicalmente la storia dei crocifissi, degli ultimi. La messa diventa così un teatrino spiritualistico senza rimando alla vita concreta.
"Alzati gli occhi al cielo"
Voglio partire dalla mia vita quotidiana, dall'esigenza della mia conversione. Dove troverò la forza perchè il mio pane, il mio tempo, ciò che ho e ciò che posso si dividano? Lo imparo ancora da Gesù.
Per lui, come era nella fede del suo popolo, alzare gli occhi al cielo significava riconoscere i doni che Dio ci fa e ritrovare il loro significato, la loro destinazione comunitaria. Nello stesso tempo, alzare gli occhi al cielo significava anche attingere da Dio la forza per condividere, per spezzare la catena dell'egoismo.
Per lui, come era nella fede del suo popolo, alzare gli occhi al cielo significava riconoscere i doni che Dio ci fa e ritrovare il loro significato, la loro destinazione comunitaria. Nello stesso tempo, alzare gli occhi al cielo significava anche attingere da Dio la forza per condividere, per spezzare la catena dell'egoismo.
Aiutami, o Dio
Sento dentro di me, come fuoco dentro le mie arterie, la lotta tra l'egoismo e la condivisione.
Ho bisogno, o Dio, del Tuo aiuto ogni giorno perchè ogni giorno bisogna scegliere la strada da percorrere e quella da evitare.
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