io ne ho viste cose, che voi umani non potete immaginare...
Rispondo al commento di Piergiobbe con questo post.Il Bologna di Venerdì 21 settembre riportava le parole di padre Benito Fusco responsabile della comunità dei frati dell'eremo di Ronzano (ovviamente censurate da Bologna7): "La moschea è un elemento unificante, di dialogo interreligioso. Non è un fatto amministrativo". La Chiesa bolognese "deve rivedere le sue posizioni, dalle dichiarazioni allarmistiche di Biffi a quelle più prudenti ma lo stesso non accoglienti di Caffarra". "Accogliamo con interesse il momento di riflessione proposto dal sindaco Cofferati sulla moschea che si colloca dentro un processo decisionale allargato". L'importante, ammonisce però subito il religioso, è che "non sia una riflessione troppo lunga o guidata sui binari dell'amministrazione». Perché la moschea, avverte, "non è un fatto amministrativo, ma di dialogo interreligioso". Anzi, per i musulmani di Bologna "è un diritto sacrosanto» e di sicuro "non è un centro di formazione al terrorismo"."Invito tutti a rileggere e meditare il Vangelo, non è un linguaggio né un atteggiamento evangelico, da cristiani" quello che viene usato in questi giorni. "Bisogna passare dalla xenofobia alla xenofilia è questo che ci insegna la Bibbia"Mi fa piacere non essere una voce sola nel panorama cattolico, anche perché implicherebbe un serio ripensamento delle mie posizioni. Le considerazioni di Piergiobbe non solo sono poco evangeliche ma, a mio parere, poco convincenti: un luogo di culto solo per alcune ore del venerdì, mentre nel tempo restante vi "si curano attività commerciali e si prendono decisioni politiche". Niente a che vedere con le parrocchie; No so su quali certezze si basino queste affermazioni, comunque le parrocchie non fanno forse attività commerciali, ma formano i giovani secondo le idee cattoliche che sono anche implicitamente politiche.perché la più grande d'Europa proprio da noi?E perché no? qual e' il problema? questo chiaramente e' pregiudizio! no la più grande perché sono mussulmani e se facessero il circolo arci più grande d'Europa? o il casinò? o la discoteca?Poi perché svendere un terreno a 1/8 del suo valore e regalarlo all'Ucoii; e su questo sono d'accordo, ma e' un problema amministrativo e su questo tutti, laici, cattolici, mussulmani potranno dire la lorofar regali solo a quel 4/5% della comunità islamica che va in moschea ripeto, no va bene fare regali a nessuno, ma nemmeno a quella percentuale di italiani che vanno in chiesa, non saranno solo il 4/5% della popolazione ma certo non la maggioranza. Io dico pari dignità ad ogni religione, se i mussulmani praticanti sono pochi avranno comunque dei diritti e proprio tu mi vieni a dire che i non praticanti sono piu' integrabili, come dire che gli italiani non cattolici sono più tolleranti! cosa vera, ma ti piacerebbe essere discriminato proprio perché hai delle idee forti e vuoi anche comunicarle agli altri e soprattutto viverle tu?
Caro comunista,era chiaro che non fossimo d'accordo... comunque ho cercato chi fosse la tua fonte e ho trovato sul sito di Repubblica:""Un '77 servirebbe anche alla Chiesa"Temi correlati1977Frate Benito Fusco e il 1977: "Nel movimento di allora tanti errori, ma anche un prorompente, esagerato desiderio di felicità che nessuno nel mondo politico seppe cogliere". Anch´io tirai sampietrini. Ma il nostro vero errore fu dire pochi no al volere della massadi Michele SmargiassiFuscoFuscoLi assolverebbe, padre? «Li assolverei. Quelli che conobbi io, tutti». Può anche darsi che l'abbia fatto, uno per uno, ma sono segreti che un frate non tradisce. Di sicuro sono saliti tanti ex-compagni di Lotta continua, su all´eremo di Ronzano, a trovare il compagno Benito diventato frate Benito, «all´ordinazione poi c´erano tutti, in chiesa, e nessuno fece battute che sarebbero state fin troppo facili».Benito Fusco, Benito il rosso, di capelli e di idee. Adesso, a 54 anni, i capelli si son fatti bianchi, il maglione invece è nero col cappuccio. Il saio scuro con mantellina e cinturone, abito dei Servi di Maria, «lo metto solo alle cerimonie. Sembro il fratello di Zorro...». Nel piccolo convento rosso mattone, dirimpettaio della basilica di San Luca, i frati sono solo tre, e Benito fa di tutto, dai campi di solidarietà nelle missioni indiane alle bollette da pagare. «Li assolverei dalle cose sbagliate che facemmo, che sono meno di quelle giuste che pensammo». Prima persona plurale. Frate Benito non rinnega nulla. Non rimuove nulla. Neppure il dolore straziante di quella mattina, in via Mascarella, davanti alla pozza di sangue di un amico, compagno, quasi fratello.«Ero a Legge a informarmi sugli esami, sentii dire ‘hanno ammazzato un compagno´. Non poteva essere Francesco. Nessuno quel giorno meritava di morire, ma Francesco meno di tutti». Era lui, e quel giorno Benito disse addio al Movimento. «Nella mia vita i grandi lutti hanno sempre prodotto grandi scelte. Anni dopo, quand´ero assessore a Casalecchio, cadde il jet sul liceo Salvemini. Andai a consolare le famiglie di quei ragazzi. Poi presi uno zaino, mi congedai dal sindaco, girai l´Europa per un mese: al ritorno, mi presentai al convento».L´amico perduto però non l´ha mai scordato. Ancora adesso fa parte dell´associazione Lorusso. «I confratelli forse lo sanno, forse no, ma non mi dicono nulla». S´erano conosciuti, premonizione, in un luogo santo: a Lourdes, liceali entrambi. Ero lì con un gruppo di ragazzi di parrocchia, lui invece era uno scout di Pesaro, portava i malati con le barelle. Ci capimmo subito. E che gioia ritrovarci poi all´università, lui a Medicina io a Legge». All´università, cioè nei collettivi di Lc. Benito, studente-lavoratore, turnista alla Kraft, teneva i rapporti con la classe operaia. Francesco pure, ma sul versante delle lotte per la salute in fabbrica.«Lc era prima di tutto un gruppo di persone legate da un fortissimo affetto reciproco, da una condivisione assoluta di scelte e valori. Non è poi così diverso con i frati...». Un convento più le molotov. Non s´arrabbia: «L´ho tirato anch´io qualche sampietrino. La violenza, vista col senno di allora, era necessaria, direi ovvia, era nei linguaggi, nell'aria, sembrava la regola che governava il mondo, c´erano stati il Cile, le bombe, i compagni ammazzati nei cortei. Non potevi scegliere. Era un corpo-a-corpo, dove non si può stabilire chi fa violenza e chi la subisce». Parla con serenità, riflette. «Ma c´era anche tantissima tenerezza. Ho visto anche zingari felici, come cantava Claudio Lolli. C´era un desiderio di felicità dirompente, esagerato, che nessuno nel mondo politico seppe capire. Noi stessi non capimmo che quello era un canto del cigno. L´ultima danza. Se la vita è una danza, quella fu la nostra danza funebre».Come tanti suoi coetanei, anche padre Benito pensa a quel marzo bolognese come al momento in cui tutto cambiò. «I sogni ci tornarono addosso come incubi. Dalle radio libere, il berlusconismo. Dal rifiuto del lavoro, il lavoro precario. Dalla vita liberata, la droga. Ora se dici ´77 tutti ti rispondono: vetrine rotte. Ma la violenza di migliaia di vite spezzate? Si fecero cose indiavolate, ma con le lacrime agli occhi. E non erano i lacrimogeni». La fine di tutto, però, Benito la posticipa di un anno ancora. «L´11 marzo ´78 ci fu un corteo enorme, per l´anniversario di Francesco, che nessuno ricorda. C´eravamo tutti, piangemmo. Fu l´ultimo abbraccio. Qualche giorno dopo, le Br rapirono Moro». E non ci fu più posto per nessuno. «Il Pci voleva elettori. Il partito armato, soldati. In mezzo noi, poveri untorelli. Noi che non volevamo desistere, forse neppure resistere, solo esistere». Chissà se è arrivato il tempo di scrivere una storia morale della rivolta del ´77. Per averne una della Resistenza passarono cinquant´anni. «Non è ancora il momento. Dobbiamo ancora sapere cosa è successo, poi verrà il momento del perché. Ma non toccherà a noi. Nelle nostre vene c´è troppa emozione, troppo ‘sangue teologico´». Lei però la sua verità l´ha trovata altrove. «No, non rinnegai nulla quindici anni fa, e neanche oggi. Quello mio, di Francesco, di tanti compagni era un umanesimo di valori, anche se non fondamentali come quelli che Cristo mi ha offerto».Errori? «Tanti. Non aiuterei più qualche "compagno che sbaglia" a evitare la legge. Ma soprattutto rimpiango, per usare un detto evangelico, d´aver detto troppi sì-sì e pochi no-no». No a cosa? «Alla massa che ti trascinava dove diceva qualche leader più esperto o furbo, e ti faceva tacere la coscienza. Ma il valore dell´amicizia tra i compagni, dell´uguaglianza, del rispetto, quello è stato forte, ed è ancora mio. Non sarà un caso», sorride, «se ho scelto l´unico ordine monastico che non ha un fondatore, ma è nato da un "collettivo" di sette santi...».Padre Benito, non c´è ormai bisogno di spiegarlo, è un sacerdote ancora conciliare, forse fuori moda. «Mi sono arrabbiato per i funerali negati a Welby, per come è stato trattato don Nicolini... E l´ho fatto dall´altare». Nulla di più lontano dalle fumose assemblee di trent´anni fa del chiostrino di Ronzano. Ma respirando l´aria fresca, padre Benito si scopre a mormorare che «un ´77 servirebbe anche alla Chiesa, romperebbe vetrine annebbiate da decenni di immobilità».(04 febbraio 2007)sarebbe come se ti avessi portato a mio sostegno un articolo di Socci... ma comunque ubi maior...
Bhe non ci sarebbe niente di male a citare Socci!!! :-)))))Comunque anche qui mi pari ideologico: no alla mosche paerche' sono mussulmani, no a p.Benito perche' era (non e') comunista! :-)))
Forse è vero.Forse sono ideologico, come dici tu. A me pare invece solo una questione di chiarezza:1) possono gli islamici darci garanzie affidabili che useranno il centro solo per il culto e non per scopi politico-terroristici antioccidentali? No. E ciò è confermato anche da alcuni islamici. Di conseguenza la moschea non va costruita (soprattutto coi nostri soldi, visto che le cattedrali noi ce le siamo costruite da soli).2) Può un prete ex-settantasettino dare lezioni al Papa e ai vescovi su come vanno gestiti i rapporti interreligiosi, invocare la "rivoluzione" all'interno della Chiesa, non essere conseguente al proprio voto d'obbedienza? Sì, certo (visto che per fortuna siamo in Occidente). Però, anch'io, legittimamente posso fare a meno di ritenere il suo un parere autorevole.Spero di essermi spiegato.SalutiNepo
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3 commenti:
Caro comunista,
era chiaro che non fossimo d'accordo... comunque ho cercato chi fosse la tua fonte e ho trovato sul sito di Repubblica:
""Un '77 servirebbe anche alla Chiesa"
Temi correlati
1977
Frate Benito Fusco e il 1977: "Nel movimento di allora tanti errori, ma anche un prorompente, esagerato desiderio di felicità che nessuno nel mondo politico seppe cogliere". Anch´io tirai sampietrini. Ma il nostro vero errore fu dire pochi no al volere della massa
di Michele Smargiassi
Fusco
Fusco
Li assolverebbe, padre? «Li assolverei. Quelli che conobbi io, tutti». Può anche darsi che l'abbia fatto, uno per uno, ma sono segreti che un frate non tradisce. Di sicuro sono saliti tanti ex-compagni di Lotta continua, su all´eremo di Ronzano, a trovare il compagno Benito diventato frate Benito, «all´ordinazione poi c´erano tutti, in chiesa, e nessuno fece battute che sarebbero state fin troppo facili».
Benito Fusco, Benito il rosso, di capelli e di idee. Adesso, a 54 anni, i capelli si son fatti bianchi, il maglione invece è nero col cappuccio. Il saio scuro con mantellina e cinturone, abito dei Servi di Maria, «lo metto solo alle cerimonie. Sembro il fratello di Zorro...». Nel piccolo convento rosso mattone, dirimpettaio della basilica di San Luca, i frati sono solo tre, e Benito fa di tutto, dai campi di solidarietà nelle missioni indiane alle bollette da pagare. «Li assolverei dalle cose sbagliate che facemmo, che sono meno di quelle giuste che pensammo». Prima persona plurale. Frate Benito non rinnega nulla. Non rimuove nulla. Neppure il dolore straziante di quella mattina, in via Mascarella, davanti alla pozza di sangue di un amico, compagno, quasi fratello.
«Ero a Legge a informarmi sugli esami, sentii dire ‘hanno ammazzato un compagno´. Non poteva essere Francesco. Nessuno quel giorno meritava di morire, ma Francesco meno di tutti». Era lui, e quel giorno Benito disse addio al Movimento. «Nella mia vita i grandi lutti hanno sempre prodotto grandi scelte. Anni dopo, quand´ero assessore a Casalecchio, cadde il jet sul liceo Salvemini. Andai a consolare le famiglie di quei ragazzi. Poi presi uno zaino, mi congedai dal sindaco, girai l´Europa per un mese: al ritorno, mi presentai al convento».
L´amico perduto però non l´ha mai scordato. Ancora adesso fa parte dell´associazione Lorusso. «I confratelli forse lo sanno, forse no, ma non mi dicono nulla». S´erano conosciuti, premonizione, in un luogo santo: a Lourdes, liceali entrambi. Ero lì con un gruppo di ragazzi di parrocchia, lui invece era uno scout di Pesaro, portava i malati con le barelle. Ci capimmo subito. E che gioia ritrovarci poi all´università, lui a Medicina io a Legge». All´università, cioè nei collettivi di Lc. Benito, studente-lavoratore, turnista alla Kraft, teneva i rapporti con la classe operaia. Francesco pure, ma sul versante delle lotte per la salute in fabbrica.
«Lc era prima di tutto un gruppo di persone legate da un fortissimo affetto reciproco, da una condivisione assoluta di scelte e valori. Non è poi così diverso con i frati...». Un convento più le molotov. Non s´arrabbia: «L´ho tirato anch´io qualche sampietrino. La violenza, vista col senno di allora, era necessaria, direi ovvia, era nei linguaggi, nell'aria, sembrava la regola che governava il mondo, c´erano stati il Cile, le bombe, i compagni ammazzati nei cortei. Non potevi scegliere. Era un corpo-a-corpo, dove non si può stabilire chi fa violenza e chi la subisce». Parla con serenità, riflette. «Ma c´era anche tantissima tenerezza. Ho visto anche zingari felici, come cantava Claudio Lolli. C´era un desiderio di felicità dirompente, esagerato, che nessuno nel mondo politico seppe capire. Noi stessi non capimmo che quello era un canto del cigno. L´ultima danza. Se la vita è una danza, quella fu la nostra danza funebre».
Come tanti suoi coetanei, anche padre Benito pensa a quel marzo bolognese come al momento in cui tutto cambiò. «I sogni ci tornarono addosso come incubi. Dalle radio libere, il berlusconismo. Dal rifiuto del lavoro, il lavoro precario. Dalla vita liberata, la droga. Ora se dici ´77 tutti ti rispondono: vetrine rotte. Ma la violenza di migliaia di vite spezzate? Si fecero cose indiavolate, ma con le lacrime agli occhi. E non erano i lacrimogeni». La fine di tutto, però, Benito la posticipa di un anno ancora. «L´11 marzo ´78 ci fu un corteo enorme, per l´anniversario di Francesco, che nessuno ricorda. C´eravamo tutti, piangemmo. Fu l´ultimo abbraccio. Qualche giorno dopo, le Br rapirono Moro». E non ci fu più posto per nessuno. «Il Pci voleva elettori. Il partito armato, soldati. In mezzo noi, poveri untorelli. Noi che non volevamo desistere, forse neppure resistere, solo esistere». Chissà se è arrivato il tempo di scrivere una storia morale della rivolta del ´77. Per averne una della Resistenza passarono cinquant´anni. «Non è ancora il momento. Dobbiamo ancora sapere cosa è successo, poi verrà il momento del perché. Ma non toccherà a noi. Nelle nostre vene c´è troppa emozione, troppo ‘sangue teologico´». Lei però la sua verità l´ha trovata altrove. «No, non rinnegai nulla quindici anni fa, e neanche oggi. Quello mio, di Francesco, di tanti compagni era un umanesimo di valori, anche se non fondamentali come quelli che Cristo mi ha offerto».
Errori? «Tanti. Non aiuterei più qualche "compagno che sbaglia" a evitare la legge. Ma soprattutto rimpiango, per usare un detto evangelico, d´aver detto troppi sì-sì e pochi no-no». No a cosa? «Alla massa che ti trascinava dove diceva qualche leader più esperto o furbo, e ti faceva tacere la coscienza. Ma il valore dell´amicizia tra i compagni, dell´uguaglianza, del rispetto, quello è stato forte, ed è ancora mio. Non sarà un caso», sorride, «se ho scelto l´unico ordine monastico che non ha un fondatore, ma è nato da un "collettivo" di sette santi...».
Padre Benito, non c´è ormai bisogno di spiegarlo, è un sacerdote ancora conciliare, forse fuori moda. «Mi sono arrabbiato per i funerali negati a Welby, per come è stato trattato don Nicolini... E l´ho fatto dall´altare». Nulla di più lontano dalle fumose assemblee di trent´anni fa del chiostrino di Ronzano. Ma respirando l´aria fresca, padre Benito si scopre a mormorare che «un ´77 servirebbe anche alla Chiesa, romperebbe vetrine annebbiate da decenni di immobilità».
(04 febbraio 2007)
sarebbe come se ti avessi portato a mio sostegno un articolo di Socci... ma comunque ubi maior...
Bhe non ci sarebbe niente di male a citare Socci!!! :-)))))
Comunque anche qui mi pari ideologico: no alla mosche paerche' sono mussulmani, no a p.Benito perche' era (non e') comunista! :-)))
Forse è vero.
Forse sono ideologico, come dici tu. A me pare invece solo una questione di chiarezza:
1) possono gli islamici darci garanzie affidabili che useranno il centro solo per il culto e non per scopi politico-terroristici antioccidentali? No. E ciò è confermato anche da alcuni islamici. Di conseguenza la moschea non va costruita (soprattutto coi nostri soldi, visto che le cattedrali noi ce le siamo costruite da soli).
2) Può un prete ex-settantasettino dare lezioni al Papa e ai vescovi su come vanno gestiti i rapporti interreligiosi, invocare la "rivoluzione" all'interno della Chiesa, non essere conseguente al proprio voto d'obbedienza? Sì, certo (visto che per fortuna siamo in Occidente). Però, anch'io, legittimamente posso fare a meno di ritenere il suo un parere autorevole.
Spero di essermi spiegato.
Saluti
Nepo
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