Nel dicembre del 2001, in occasione del centesimo anniversario del premio Nobel, un vasto gruppo di vincitori del prestigioso riconoscimento si è riunito a Stoccolma e Oslo e cento di loro hanno firmato una solenne Dichiarazione intitolata "I prossimi cento anni", che metteva in guardia l'umanità rispetto a due questioni fondamentali: da un lato che le armi di distruzione a disposizione dell'uomo non solo continuano a diffondersi, ma creano di per se stesse un pericolo crescente di guerra, e, dall'altro, la constatazione, drammatica, che tutte le tensioni naturali e ambientali rimangono al di fuori delle decisioni e della sfera d'interesse dei potenti.
Il documento afferma:
"Il maggiore pericolo per la pace mondiale negli anni a venire non deriverà da atti irrazionali di Stati o persone, ma dalla domanda legittima di coloro che vivono in questo mondo e che sono stati depredati delle loro speranze, i poveri e gli emarginati che vivono un'esistenza marginale nei climi equatoriali. Il riscaldamento globale, che non è stato causato da loro, ma che è prodotto dai pochi ricchi del pianeta, colpirà prima di tutto le loro fragili ecologie e la loro situazione sarà non solamente disperata, ma manifestamente ingiusta. Non ci si può aspettare che essi saranno contenti, in ogni caso, di aspettare la beneficenza dei ricchi. Se noi permetteremo che il potere devastante delle armi moderne si estenda e si diffonda ulteriormente su questo panorama umano, già pronto all'esplosione, organizzeremo e ci renderemo responsabili di una conflagrazione che potrà coinvolgere sia i ricchi che i poveri. La sola speranza per il futuro è collocata in un'azione internazionale cooperativa legittimata e fondata sulla democrazia. E' tempo di voltare le spalle — e abbandonarla — alla ricerca unilaterale della sicurezza, con la quale cerchiamo di nasconderci dietro mura altissime. Dobbiamo, invece, persistere nella richiesta di un'azione unitaria per fronteggiare sia il riscaldamento globale che un mondo pieno di armi. Questi due compiti costituiranno le componenti vitali della stabilità futura del mondo, nel momento in cui ci muoviamo verso un più alto grado di giustizia sociale, che è l'unica possibilità di costruire la pace. […]Come cittadini preoccupati, noi sollecitiamo tutti i governi a dedicare le loro energie a questi scopi, che costituiscono un necessario passaggio sulla via della sostituzione della guerra con la legge. Per sopravvivere nel mondo che abbiamo già cambiato, dobbiamo imparare a pensare in un altro modo. Come mai prima d'ora, il futuro di ciascuno di noi dipende dal bene di tutti".
giovedì 29 marzo 2007
I prossimi 100 anni
martedì 27 marzo 2007
Biffi
Se spezziamo con piena consapevolezza il Pane eucaristico, dobbiamo preoccuparci di chi non ha pane ne' casa. Se presentiamo la materia dell'offertorio, frutto del lavoro dell'uomo, non possiamo disinteressarci dei problemi del lavoro umano, della sua dignita', della sua sicurezza. Se ci scambiamo il segno della pace, dobbiamo farci operatori di pace contro tutte le lotte tra le genti, tra le classi sociali, tra le varie categorie, tra gli individui.
Chi stacca Gesu' dalla storia concreta, alla fine lo perde. Dal momento che il Verbo si e' fatto carne ed e' venuto ad abitare in mezzo a noi, noi proprio nelle vicissitudini umane, nelle pene, nelle preoccupazioni, nelle tensioni degli uomini potremo davvero incontrarlo
(Omelia nella Messa del giorno di Natale 25 Dicembre 1988)
Afghanistan, rifinanziamo questo
Da Pacereporter http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idc=&idart=7625
I racconti dei civili vittime della guerra, ricoverati nell'ospedale di Emergency a Lashkargah
Dal nostro inviato
Enrico Piovesana
Lashkargah, provincia di Helmand. Oggi, dopo i feroci combattimenti dei giorni scorsi, la situazione è tornata calma. Ma qui in città il clima è ancora molto teso. Per le strade, polverose e assolate, il traffico è quasi nullo e si vede pochissima gente a piedi. Abbondano invece i pick-up dell'esercito afgano, carichi di soldati in mimetica con i lanciarazzi in spalla e i kalashnikov spianati. In città le forze militari della Nato non si vedono, ma si sentono, nella forma dell'incessante rumore degli elicotteri da combattimento 'Apache' che sorvolano ad alta quota il centro abitato.
Per vedere gli effetti della guerra che in questi giorni ha infuriato nella provincia basta fare un salto all'ospedale di Emergency – dove tutti sono in terribile ansia per la sorte di Rahmatullah Hanefi, il manager della struttura preso una settimana fa dai servizi segreti afgani. Le corsie sono strapiene di feriti: civili vittime dei bombardamenti dell'aviazione e dell'artiglieria della Nato e dei mitra dei soldati afgani. Le testimonianze dei sopravvissuti e dei loro parenti sono infatti concordi: dopo aver messo in fuga i talebani dai villaggi, i soldati del governo Karzai appoggiati dalle forze Isaf hanno fatto il tiro a segno sulla popolazione civile, sparando contro tutti: anziani, donne e bambini. Chiunque si trovasse a tiro.
Zarghona ha 25 anni, ma ne dimostra almeno il doppio. Viene dal piccolo villaggio di Malgir, a nord di Lashkargah. Ha il viso completamente fasciato, la mascella fracassata da una pallottola. La stessa pallottola che, prima di entrare nella sua guancia, è entrata e uscita dalla testa del suo bambino di un anno e mezzo, uccidendolo. Parla con un filo di voce, fissando le lenzuola: "Prima hanno iniziato a sparare, poi sono iniziate a cadere le bombe. Tutte le donne del villaggio, come me, sono uscite di casa, fuggendo con i bambini in braccio. Io correvo tenevo mio figlio stretto a me, poi i soldati afgani ci hanno sparato. La stessa pallottola…". Il pianto interrompe il bisbiglio della donna, che si copre il volto per non farsi vedere.
Zadran ha 16 anni. Viene dal villaggio di Loi Manda, nei pressi di Grishk. Gli hanno tolto dalla gamba cinque proiettili. "E' iniziata una sparatoria, poi gli inglesi, dal deserto, hanno iniziato a prendere a cannonate il villaggio. Sono corso fuori di casa, volevo scappare. I soldati afgani mi hanno sparato con i mitra, colpendomi alla gamba. In questo modo sono morte, nel mio villaggio, almeno quattro persone, tra cui due bambini e due uomini: questi due sono stati giustiziati dai militari governativi dopo essere stati arrestati senza alcun motivo. Li conoscevo, non erano talebani. Quelli se ne erano già andati".
Rokhana, 32 anni, sempre di Loi Manda, conferma il racconto del ragazzino. Anche lei è ferita a una gamba, che nasconde sotto le coperte per pudore. Per lo stesso motivo si copre anche il volto con le lenzuola mente parla. "Fuori di casa la guerra si è scatenata d'improvviso. Mi sono precipitata in cortile per portare dentro i miei figli. Appena ho varcato la soglia mi hanno sparato. Hanno sparato anche a mio figlio Askar, ferendolo a un braccio. Due degli altri bambini con cui stava giocando sono morti. Erano i soldati del governo a sparare contro la gente normale, quando i talebani erano già scappati dal villaggio".
Mirwais ha 12 anni, viene dal villaggio di Choar Kuza, sempre vicino a Grishk. Giace sdraiato su un fianco, immobile, e resterà così per tutta la vita. La scheggia di un proiettile di mortaio che ha centrato la sua casa gli è entrata nel collo, ledendogli la colonna vertebrale e condannandolo così alla tetraplegia. A parlare è suo padre Zalmay, occhi tristi, pelle scura e rugosa, barba sale e pepe e turbante nero. "Gli inglesi sparavano sul nostro villaggio con i cannoni, da lontano, i soldati afgani sparavano con i fucili, da vicino. Un colpo, forse di mortaio, è caduto fuori dalla nostra casa, uccidendo tutte le nostre bestie e ferendo mio figlio al collo e mia moglie alla gamba. Siamo stati fortunati: un altro colpo è caduto sulla casa dei nostri vicini, radendola al suolo e uccidendo due persone".
Khan Gul di anni ne ha 13. Viene da Dehe Adam Khan, appena fuori Grishk. Una scheggia di bomba aerea gli ha fracassato la gamba, ma con le stampelle è riuscito a trascinarsi fino alla corsia delle donne, dov'è ricoverata sua madre, Zibagul Jan, di 35 anni, che non parla più. Vuole tenerle compagnia. Nessun familiare è venuto a far loro visita, perché sono tutti morti sotto le macerie della loro casa, bombardata dall'aviazione Nato. "Eravamo in casa, era sera tardi. Fuori sparavano, c'erano i talebani nel nostro villaggio. A un certo punto è scoppiato tutto. Mio papà e i miei due fratelli sono morti. Io, la mamma, le mie sorelle e i nonni siamo rimasti feriti".
Sarwar ha 30 anni. E' di Lashkargah e fa il tassista: possiede, anzi possedeva, un pulmino con cui trasportava la gente dal capoluogo a Grishk, ogni giorno, avanti e indietro. "Stavo guidando verso Grishk con quattro passeggeri. Ho incrociato un blindato Isaf, inglese o americano, non so. Ho avuto paura e non mi sono fermato. Ci hanno sparato addosso con i mitragliatori. Io sono stato colpito allo stomaco. Due dei passeggeri, due uomini, sono morti. Il mio pulmino, la mia unica ricchezza, è andato distrutto, ridotto a un colabrodo".
Sadikha ha 22 anni. Viene dal villaggio di Zumbelay, a est di Grishk. La sua triste storia la conosciamo già: una bomba della Nato ha centrato e distrutto la sua casa. Una scheggia le è entrata in pancia, uccidendo il bambino di cinque mesi di cui era incinta. La incontriamo nel reparto di terapia intensiva, nascosta dietro una tenda. Sta seduta sul bordo del letto, nonostante sia fasciata dalla testa ai piedi. Fissa il vuoto e bisbiglia parole senza senso attraverso la maschera a ossigeno. Forse racconta la storia di questa guerra schifosa.
lunedì 26 marzo 2007
Che vergogna!!!!
Che angoscia, che tristezza, che vergogna!!!! Non c'e' mai fine al dolore e all'ingiustizia. Mi pare di vedere due modi di vita opposti: chi si prodiga per gli altri e chi si interessa solo del potere e considera gli uomini delle pedine. Gino Strada e' stato bellamente usato per fini politici: prima fatto intervenire per salvare delle vite, e lui non si e' fatto pregare, poi abbandonato quando un suo collaboratore e' stato arrestato del governo 'democratico' che lo tortura per avere informazioni sui talebani. Gli uomini di buona volonta' si adoperano per migliorare il mondo, si fanno in quattro, lavorano con tutti e poi i soliti furbetti (ma sarebbe meglio dire malvagi) se ne approfittano. Che ci importa di un afgano? ne muoiono tanti! il nostro giornalista si che valeva, il governo non poteva certo fare una figuraccia facendo uccidere un inviato in un luogo dove c'e' la guerra e i nostri soldati ma bisogna dire che siamo in missione di pace. Adesso che lui e' libero le notizie tornano sui siti di 'controinformazione', nel passa parola, ma escono dai circuiti ufficiali. E pensare che una persona che si e' prodigata per far salvare una vita ora sia, per questo, sotto tortura mi getta in un profondo stato di angoscia.
Prego per lui e per i suoi aguzzini
Riporto l'appello di Teresa Sarti
Rahmatullah torturato: il governo italiano deve agire
Dalla presidente di Emergency un accorato appello al Presidente del Consiglio Prodi
Siamo angosciati per la sorte di Rahmatullah Hanefi. Il responsabile afgano dell'ospedale di Emergency a Lashkargah è stato prelevato all'alba di martedì 20 dai servizi di sicurezza afgani.
Da allora nessuno ha potuto vederlo o parlargli, nemmeno i suoi famigliari. Non è stata formulata nessuna accusa, non esiste alcun documento che comprovi la sua detenzione. Alcuni afgani, che lavorano nel posto in cui Rahmatullah Hanefi è rinchiuso, ci hanno detto però che lo stanno interrogando e torturando "con i cavi elettrici".
Rahmatullah Hanefi è stato determinante nella liberazione di Daniele Mastrogiacomo, semplicemente facendo tutto e solo ciò che il governo italiano, attraverso Emergency, gli chiedeva di fare. Il suo aiuto potrebbe essere determinante anche per la sorte di Adjmal Nashkbandi, l'interprete di Mastrogiacomo, che non è ancora tornato dalla sua famiglia.
Oggi, domenica 25, il Ministro della sanità afgano ci ha informato che in un "alto meeting sulla sicurezza nazionale" presieduto da Hamid Karzai, è stato deciso di non rilasciare Rahmatullah Hanefi. Ci hanno fatto capire che non ci sono accuse contro di lui, ma che sono pronti a fabbricare false prove.
Non è accettabile che il prezzo della liberazione del cittadino italiano Daniele Mastrogiacomo venga pagato da un coraggioso cittadino afgano e da Emergency. Abbiamo ripetutamente chiesto al Governo italiano, negli ultimi cinque giorni, di impegnarsi per l'immediato rilascio di Rahmatullah Hanefi e il governo ci ha assicurato che l'avrebbe fatto. Chiediamo con forza al Governo italiano di rispettare le parola data.
Teresa Sarti Strada
Presidente di Emergency
A questo link l'appello per la liberazione di Rahmatullah Hanefi e Adjmal Nashkbandi
http://www.emergency.it/appello/
linko anche questo interessantissimo intervento del Gen. Fabio Mini
http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idc=0&idart=7603
giovedì 22 marzo 2007
Nobel a Gino Strada
E' stata lanciata una petizione per la candidatura di Gino Strada ed Emergency al premio Nobel per la Pace.
Questo il link http://www.petitiononline.com/ginostra/petition.html
giovedì 8 marzo 2007
Sostenere o no il governo Prodi?
Come sempre, trovo Jacopo Fo intelligente ed originale, copio, incollo e sottoscrivo questo post del suo blog http://www.jacopofo.com di oggi
Sostenere o no il governo Prodi? Questo è il dilemma. Rispondo a Giacomo.
Ecco la letera di Giacomo
Caro Jacopo,
sono stato iscritto al Cacao della domenica per diversi anni,
leggendoti qua e là a scappatempo, spesso con interesse, a volte meno.
Ma stasera mi son cancellato. Magari è impulsivo, chissà,
ma il tuo sostegno a Prodi, di questi tempi e a questi costi,
non lo capisco proprio più e non posso condividerlo; se la barca è questa, che affondi pure.
E si salvi chi può.
L'Universo è in continua trasformazione, il cambiamento è inevitabile,
mentre la perdita di un livello accettabile di decenza, a livello umano e istituzionale,
può e deve essere evitata, a tutti i costi. E credo che questo governo e il suo presidente
abbia perso da tempo qualsiasi traccia della scarsa decenza che aveva in origine.
Ovviamente, è il mio punto di vista. Supportato dall'evidenza di troppi fatti.
So che continuerò a incrociare le tue tracce, e immagino sarà più un piacere che un disturbo,
ma sto scegliendo con determinazione di nutrire solo cose e persone
che vibrano in risonanza con quello che vivo e che sento,
e questo governo di risonante con me mai niente ha avuto, e l'idea di sostenere
chi sostiene un governo oramai completamente insostenibile non mi va proprio...
Buona Vita.
Un Abbraccio in Bellezza,
Giacomo
Caro Giacomo,
grazie per la tua lettera piena di affetto.
La tua critica, chiara e ragionevole centra esattamente il problema di questo momento.
Siamo di fronte a un bivio e non pochi la pensano come te. Lo vedo dalle reazioni di molti che si sono allontanati da questo blog proprio perché non condividono questa mia scelta netta.
Ma siamo di fronte alla possibilità che una nuova strategia venga scelta dal movimento e non mi posso quindi sottrarre al dovere di dire come la penso, anche se questo comporta un calo di consensi.
Io credo sia necessaria una politica di alleanze per ottenere alcuni cambiamenti indispensabili per sbloccare la tragica situazione italiana.
Attenzione non sto proponendo di abbracciare la linea socialdemocratica e abbassare le pretese.
Sto solo sostenendo che la rivoluzione deve misurare ogni passo perché stiamo camminando sul baratro.
Il governo Prodi non è un governo buono. Non è il governo che sogniamo. Non realizzerà le nostre aspirazioni. Ma il governo Prodi è comunque indispensabile in questa fase perché è l'unica entità che oggi ha l'interesse e la forza di scompaginare i giochi e farci fare un passo (almeno uno) fuori dalla cappa che ci opprime.
Oggi perfino una parte della borghesia ha capito che l'Italia affonda se mantiene questo livello di spreco, corruzione, catene vaticane, burocrazia, evasione fiscale, non funzionamento della giustizia.
In questo momento la rivoluzione non è alle porte ma possiamo sperare di raggiungere un livello Svedese di democrazia.
Questa idea non mi viene perché tutto va bene ma proprio da una valutazione drammatica del momento in cui stiamo vivendo.
L'Italia rischia veramente di finire in una crisi simile a quella dell'Argentina. Abbiamo un drammatico bisogno di modernizzare il nostro sistema economico bloccato dalle pastoie burocratiche e dalle corruttle.
E credo veramente che una parte del capitalismo italiano sia interessata a rinnovare la situazione perché si rende conto che il sistema Italia sta per collassare per asfissia monopolistica.
Io credo che l'unica possibilità per evitare la catastrofe sia allearsi con questa parte della borghesia che Prodi rappresenta.
Questo non vuol dire fare sconti a Prodi sull'indulto e altre cagate.
E mi sembra che noi non si sia smesso di parlare chiaro.
La battaglia sulla legge sul finanziamento del solare, scomparsa all'ultimo momento dalla finanziaria, prima di Natale, lo dimostra. E abbiamo pure vinto su tutta la linea!
Caro Giacomo, la mia priorità oggi è evitare una catastofre economica che verrebbe pagata innanzi tutto dai lavoratori e dalle fasce deboli.
Io credo che un rapporto conflittuale con il governo che però non gli tolga il sostegno, sia oggi indispensabile.
E' un'irrinunciabile strategia delle alleanze.
Ma dietro c'è un altro grosso problema.
Centrale in questa fase storica.
La logica dei ribelli degli anni settanta è oggi improponibile.
Proprio perché siamo in un momento storico esplosivo è possibile un salto delle coscienze. Ma solo se abbandoniamo la logica della faida contro i malvagi e iniziamo a costruire un'alternativa concreta possiamo comunicare, coi fatti, il cambiamento.
Oggi dobbiamo fare, non gridare nei cortei.
Oggi la battaglia non può avere come semplice bersaglio la base di Vicenza. E' un obiettivo giusto ma scentrato, minimalista e difficilmente realizzabile al contempo.
Oggi siamo nella possibilità di mirare a un grande movimento per la Democrazia Energetica. Che non la CHIEDA ma la METTA IN PRATICA.
Fra due mesi milioni di lavoratori dovranno scegliere che fare del loro Tfr.
Nessuno è ancora riuscito a realizzare una proposta di investimento previdenziale basata sulla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.
Ma possibile? Con tutte le cooperative che abbiamo?
Oggi investire in fonti energetiche ecologiche è la cosa più sicura, il prezzo dell'elettricità è garantito addirittura dallo stato. Oggi milioni di pacifisti italiani hanno i loro denari depositati nelle banche che li usano per finanziare l'inquinamento, la guerra, la fame e la delocalizzazione.
E in più i lavoratori rischiano di veder sparire i loro risparmi (Parmalat!).
Questo denaro potrebbe finanziare, in modo sicuro e redditizio per i lavoratori, un'enorme rivoluzione energetica, allentando il bisogno di gas e petrolio del nostro paese. Vorrebbe dire andare direttamente a togliere dalle tasche dei guerrafondai i soldi!!!
Questo è il centro della questione.
Oggi possiamo e dobbiamo affrontare l'enorme battaglia di costruire la Democrazia Energetica nei fatti. Togliere nei fatti l'ossigeno alle Multinazionali del Dolore.
Trent'anni fa non esistevano le tecnologie per farlo, né per comunicarlo.
OGGI POSSIAMO!!!
Ma per riuscirci abbiamo bisogno di spazi di manovra, di alleanze.
Oggi è possibile creare un grande movimento di ecologisti concreti che combattono la dittatura del petrolio con i mulini a vento. Ma è possibile perché c'è il governo Prodi. Con il Silvio te lo sognavi!
Ma mettere al primo posto la costruzione di simili forme di risparmio significa abbandonare la cultura dello scontro di piazza e passare all'idea, nuovissima, che per cambiare il mondo ci serva mettere insieme non la rabbia ma le capacità professionali.
Ma questo comporta credere veramente che nella storia sia all'opera un meccanismo positivo che ci sta portando avanti nonostante tutto.
E per questo nelle ultime settimane ho rotto le scatole con il progetto di un libro che dimostri che non è vero che negli anni 50 si stava meglio di oggi.
E ho raccontato perché sono andati in crisi i modelli scientifici incentrati sul meccanicismo darwinista e sul Dna che determina tutto.
C'è una nuova visione che si stà facendo avanti e su questa dobbiamo portare la discussione.
C'è di mezzo la questione di trovare una fede nella positività del mondo, la fiducia nella comicoterapia, nell'amore, nella collaborazione.
Il Movimento in Italia è perdente perché imprigionato dalle logiche del pensiero lineare. Le logiche dei leader, delle scissioni, dello scontro, della mistica delo sconfitto e de l martire.
Ma questa non è una battaglia che possiamo perdere, il pianeta altrimenti fra cinquant'anni sarà una palla sterile.
Il concetto di fondo è che anche se questo momento è terribile e il rischio totale la storia sta andando verso il compimento di un disegno immenso e geniale. La storia va proprio nella direzione che vogliamo noi, ha un senso dentro e noi speriamo di averlo capito. Comunque ci mettiamo al suo servizio. Per questo possiamo azzardarci a una politica (rischiosa e difficile) di alleanze. Per questo riusciamo su questa via a ottenere grandi risultati nonostante tutto.
La questione della Missione in Afghanistan è un esempio. Il mio articolo di qualche giorno fa ha fatto incazzare molti: come fai a essere contro la guerra e sostenere la missione?
Molti mi hanno deriso per la mia idea di riuscire a partecipare alla missione, rivoluzionando il senso della nostra presenza, incentrandola sulla creazione di una commissione di inchiesta sui crimini contro l'umanità perpetrati dagli Usa.
Ma invece l'idea coglieva il nocciolo della questione. E questa è diventata la posizione ufficiale del governo, ribadita da D'Alema con una richiesta uffciale di costituire questa commissione di inchiesta.
Ed è ovvio che il peso di quei pochi che da tempo battono su questa linea, insieme alla tragica evoluzione dei fatti, ha influito su questa scelta.
Ovviamente servirebbe che molti si mettessero a spingere in questa direzione, ma troppi rinunciano perché hanno orrore di trovarsi a braccetto con Baffetto.
Si tratta a mio avviso di un errore disastroso. Se ci lasciate qui a spingere e a tirare sul governo e non ci date una mano, non ce la possiamo fare.
Le nostre forze sono esigue…
Per questo, caro Giacomo, imploro te e tutti i compagni incazzati come te a riflettere e discutere su questa questione.
Vogliamo fermare la guerra o vogliamo solo condannare la guerra?
Son o due cose diverse.
La differenza si traduce nella morte di migliaia di innocenti e in sofferenze atroci. Se vogliamo fermare veramente la guerra dobbiamo saper cogliere tutte le contraddizione nel fronte dei guerreggianti e sfruttarle fino all'ultimo particolare.
E saper immaginare un percorso fatto di tappe successive. Non si arriva al traguardo in un solo passo.
Certo anche lottare contro la base di Vicenza è importante e fa parte di questo percorso. Ma non può essere solo questa la tipologia dell'azione.
E dobbiamo saper trovare anche alleati e compagni di strada...
E dobbiamo al contempo agire sulle cause, praticare l'alternativa al petrolio, il risparmio etico, il commercio solidale, i consumi consociati ecologici.
Queste sono le azioni che determinano risultati.
Il resto è rabbia che resta sterile.
Ci serve un nuovo modello mentale.
Quello che abbiamo utilizzato fin'ora non può portarci oltre.
Abbiamo bisogno di una nuova musica per sognare una rivoluzione diversa.
Che Guevara era bellissimo ma non è creando 100 Vietnam che si cambia il mondo.
Il Che è morto prima di vedere cosa è successo a Cuba e in Vietnam.
Il Vietnam, vince perché spara, ma poi fa schifo viverci.
Jacopo Fo
mercoledì 7 marzo 2007
Dodici punti inutili
Copio incollo e sottoscrivo
Da http://www.Carta.org
La redazione di Carta ha deciso- forse per la prima volta - di assumere un atteggiamento comune, frutto della discussione tra di noi, sulla crisi di governo, i suoi esiti e le sue cause. Ci pare che quel che è accaduto dopo il voto sulla politica estera abbia un significato che va al di là degli aggiustamenti politici e parlamentari o nella composizione del governo. Accade cioè che la frattura tra sistema politico della rappresentanza [e dei partiti] e società reale si è ulteriormente allargata. Ovvero, quel che, nell'anno precedente e in quello successivo alle elezioni politiche, era stato messo tra parentesi dal desiderio del grande elettorato di centrosinistra di porre fine all'avventura berlusconiana, è oggi diventato molto più evidente.
Il fatto non è solo che le attese suscitate dalle primarie o dal programma dell'Unione, o dalla stessa partecipazione al governo della "sinistra radicale", sono state deluse. Si tratta, più in profondo, della sconnessione tra i movimenti sociali e cittadini che disegnano, con le loro lotte e le loro sperimentazioni, un altro genere di democrazia e di economia, e la cieca ostinazione con cui i politici dell'Unione rivendicano - nella quasi totalità - il loro potere di decidere nonché il dominio della "crescita" economica. I dodici punti che Prodi ha imposto ai partiti alleati come condizione per proseguire ne sono un riassunto molto efficace: accentramento della decisione addirittura in un uomo solo; "grandi opere" [la Tav, i rigassificatori, le "liberalizzazioni"] come priorità assolute; rispetto cieco delle "alleanze internazionali" [la base di Vicenza, l'Afghanistan]. Qualcuno di noi dice: è come se il governo, che aveva già azzerato la mediazione con le reti sociali, avesse eliminato il dialogo anche al proprio interno, costituendosi di fatto in consiglio d'amministrazione, in un organismo plasmato sul solo scopo di "fare ciò che va fatto".
Tutto questo non è frutto di "tradimento": è piuttosto l'effetto di quel che libri come quello di Paul Ginsborg ["La democrazia che non c'è"] o di Danilo Zolo ["Da cittadini a sudditi": si veda l'intervista in pagina 21], solo per citare gli ultimi due sul tema, analizzano in modo difficilmente contestabile: è la crisi della democrazia rappresentativa a scala nazionale, i cui poteri si stanno dileguando a causa del predominio dei poteri del liberismo globale. Ciò che poi comporta applicazioni "locali". Perché la Tav in Val di Susa, i rigassificatori e le "liberalizzazioni" sono così importanti da comparire tra le dodici priorità del paese, mentre scompaiono il lavoro e i diritti civili? La risposta è che "grandi opere", energia [fossile] e privatizzazione dei servizi pubblici sono i "mercati" nei quali il grande capitale [italiano e non solo] sa di avere le maggiori opportunità di remunerazione. E questo, agli occhi dei governanti del centrosinistra, equivale a favorire la "crescita", a fermare il "declino" del paese. In sostanza, i politici sono gli agenti, i terminali - nelle istituzioni - di quei poteri economici.
Perciò la competizione politica, le "alternative" che i diversi schieramenti dovrebbero proporre, non sono in verità tali: ai cittadini, agli elettori, viene proposto solo il ruolo di "fan" di proposte politiche diventate - dice Zolo - campagne pubblicitarie.
Questo non significa che un governo Berlusconi o un governo Prodi siano la stessa cosa. Nel secondo caso, vi sono per i movimenti della società - come abbiamo potuto talvolta vedere in questi mesi, su vari temi - maggiori possibilità di influire, di ottenere compromessi. Con la destra al governo, lo abbiamo sperimentato tra il 2001 e il 2006, tutto sarebbe peggiore. La "sinistra radicale", ma anche altri settori o personalità dell'Unione, sono meno impermeabili, come la ribellione dei parlamentari veneti contro la base di Vicenza mostra. Ma quel che la crisi di governo dovrebbe suggerire, secondo noi, è che sempre più l'onere del cambiamento pesa sui movimenti sociali, sulla loro capacità di allargare consapevolezza e modi di azione ad intere comunità, come è accaduto in Val di Susa e a Vicenza e come con il tempo sta accadendo in molti altri luoghi. Dovrebbe quindi suggerire che al governo bisogna guardare con disincanto, non aspettandosi risposte definitive, né prendendolo come causa di tutti i mali.
Il punto di vista che cerchiamo di adottare, nel guardare alle vicende della politica, è quello dei valsusini e dei vicentini. I quali sono ovviamente furiosi con i loro "rappresentanti": in Val di Susa i tre partiti della "sinistra radicale" hanno ottenuto oltre il 40 per cento dei voti, alle politiche, perché promettevano un'opposizione ferma alla Tav: non li hanno avuti perché i cittadini fossero di colpo diventati "comunisti" o "verdi". Ma quelle comunità, così come non stanno difendendo il loro "cortile" bensì il grande cortile in cui tutti noi viviamo, raccontano a tutto il paese un altro possibile modo di vivere, ossia la possibilità di un'altra economia, di un'altra democrazia e di un'altra idea della pace. E il loro messaggio è arrivato già tanto lontano, da rendere l'azione del "consiglio d'amministrazione" molto difficile. Anche perché gran parte dei politici dell'Unione non vede, e se vede non capisce, quel che sta accadendo nella società. Perciò pensano che basti vincolare la "sinistra radicale" all'obbedienza ai comandi della "crescita" per poter procedere con basi, Tav, rigassificatori, ecc.
Si sbagliano, come i prossimi mesi dimostreranno.