E io ti ho sollevata figlia per vederlo megilo, io che non parto e sto a guardarti finche' rimango sveglio R.Vecchioni - Stranamore Appartengono alla letteratura tutti i libri che si possono leggere due volte. Nicolás Gómez Dávila Anche un orologio rotto segna l'ora giusta due volte al giorno N.N. Ho una collezione di conchiglie immensa. La tengo sparsa per le spiagge di tutto il mondo. Steven Wright Mettere in ordine la casa mentre i tuoi figli sono ancora piccoli è come spalare il viale prima che smetta di nevicare. Phyllis Diller Le mie opinioni possono essere cambiate, ma non il fatto che ho ragione Ashleigh Brillant Non voglio raggiungere l'immortalità con il mio lavoro. Voglio arrivarci non morendo Woody Allen Non temere che la fine del mondo arrivi oggi. In Australia è già domani Charles Schultz Prima vennero per i comunisti, e io non dissi nulla perché non ero comunista. Poi vennero per i socialdemocratici io non dissi nulla perché non ero socialdemocratico Poi vennero per i sindacalisti, e io non dissi nulla perché non ero sindacalista. Poi vennero per gli ebrei, e io non dissi nulla perché non ero ebreo. Poi vennero a prendere me. E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa. Martin Niemöller I vescovi cubani a Roma, striscione in piazza San Pietro: Dio c'e' guevara Fiorello Baldini - Viva Radio 2 Senti che fuori piove, senti che bel rumore V. Rossi - Sally La Terra possiede risorse sufficienti per provvedere ai bisogni di tutti, ma non all’avidita’ di alcuni. Ghandi Sei cattivo? Mangia le cipolle Gioia "Come... Come ho fatto ad arrivare qui?" "Ci vorrebbe un altro terrestre per spiegarlo. I terrestri sono bravissimi a spiegare le cose, a dire perchè questo fatto è strutturato in questo modo, o come si possono provocare o evitare altri eventi. Io sono un talfamadoriano, e vedo tutto il tempo come lei potrebbe vedere un tratto delle Montagne Rocciose. Tutto il tempo è tutto il tempo. Non cambia. Non si presta ad avvenimenti o spiegazioni. E' e basta. Lo prenda momento per momento, e vedrà che siamo tutti, come ho detto prima, insetti nell'ambra." "Lei mi ha l'aria di non credere nel libero arbitrio" disse Billy Pilgrim Kurt Vonnegut - Mattatoio N. 5 Gli aerei americani, pieni di fori e di feriti e di cadaveri decollavano all'indietro da un campo di aviazione in Inghilterra. Quando furono sopra la Francia, alcuni caccia tedeschi li raggiunsero, sempre volando all'indietro, e succhiarono proiettili e schegge da alcuni degli aerei e degli aviatori. Fecero lo stesso con alcuni bombardieri americani distrutti, che erano a terra e poi decollarono all'indietro, per unirsi alla formazione. Lo stormo, volando all'indietro, sorvolò una città tedesca in fiamme. I bombardieri aprirono i portelli del vano bombe, esercitarono un miracoloso magnetismo che ridusse gli incendi e li raccolse in recipienti cilindrici d'acciaio, e sollevarono questi recipienti fino a farli sparire nel ventre degli aerei. I contenitori furono sistemati ordinatamente su alcune rastrelliere. Anche i tedeschi, là sotto, avevano degli strumenti portentosi, costituiti da lunghi tubi d'acciaio. Li usavano per succhiare altri frammenti dagli aviatori e dagli aerei. Ma c'erano ancora degli americani feriti, e qualche bombardiere era gravemente danneggiato. Sopra la Francia, però, i caccia tedeschi tornarono ad alzarsi e rimisero tutto a nuovo. Quando i bombardieri tornarono alla base, i cilindri d'acciaio furono tolti dalle rastrelliere e rimandati negli Stati Uniti, dove c'erano degli stabilimenti impegnati giorno e notte a smantellarli, a separarne il pericoloso contenuto e a riportarlo allo stato di minerale. Cosa commovente, erano soprattutto donne a fare questo lavoro. I minerali venivano poi spediti a specialisti in zone remote. Là dovevano rimetterli nel terreno e nasconderli per bene in modo che non potessero mai più fare male a nessuno. Kurt Vonnegut - Mattatoio N. 5 La violenza è l'ultimo rifugio degli incapaci I. Asimov - Salvor Hardin, Foundation Col. Kurtz: Lei e’ un assassino? Cap. Willard: Sono un soldato. Col. Kurtz: Ne’ l' uno ne’ l' altro. Lei e’ un garzone di bottega che e’ stato mandato dal droghiere a incassare i debiti sospesi Apocalypse Now Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi diro’ che, nel vostro senso io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati ed oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri. don Milani La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza G. Orwell - 1984 Purtroppo, oggi, sul palcoscenico del mondo noi occidentali siamo insieme i soli protagonisti ed i soli spettatori, e così, attraverso le nostre televisioni ed i nostri giornali, non ascoltiamo che le nostre ragioni, non proviamo che il nostro dolore Tiziano Terzani La religione non e' verita', la verita' e' religione Ghandi Avete notato che tutti coloro che sono a favore del controllo delle nascite sono gia' nati? Benny Hill E risuona il mio barbarico yawp sui tetti del mondo W. Wytman - Leaves of grass C'è chi sale e c'è chi scende e c'è chi, come me, sta sdraiato in mezzo a una strada N.N Sono rimasto con un pugno di mosche morte in mano Steve I believe in God And I believe that God Believes in Claude Hair - Manchester England England Come ti senti ragazzo? Cattivo e figlio di puttana signore! Apocalypse now Dio interamente si fece uomo, ma uomo fino all'infamia, uomo fino alla dannazione e all'abisso. Per salvarci, avrebbe potuto scegliere uno qualunque dei destini che tramano la perplessa rete della storia; avrebbe potuto essere Alessandro o Pitagora o Rurik o Gesù; scelse un destino infimo: fu Giuda J.L. Borges - Finzioni: Tre versioni di Giuda Poi riflettei che ogni cosa, a ogniuno, accade precisamente, precisamente ora. secoli e secoli, e solo nel presente accadono i fatti; innumerevoli uomini nell'aria, sulla terra e sul mare, etutto ciò che arealmete accade, accade a me J.L. Borges - Finzioni: Il giardino dei sentieri che si biforcano Richy: Ho preso 8 nel compito di francese, per questo ho studiato tutta notte Potsy: Io invece sono andato male, ma ho dormito benissimo Happy days Egoista, certo, perchè no, perchè non dovrei esserlo, quando c'ho il mal di stomaco con chi potrei condividerlo? V. Rossi - Cosa succede in città Gli uomini di Bologna sono i più gentili, mordaci e dabbene di tutta Italia, per cui anche avendoli amici, e amici di tutita prova, bisogna permetter loro di dir male e di prendersi beffe di voi, almeno un paio di volte al mese. Senza questo sfogo creperebbero; voi ne perdereste degli amici servizievoli e devoti, ed il mondo degli spiritni allegri e frizzanti. Quanto alle donne sono le più liete e disimpacciate che si possono desiderare.... I. Nievo - Le memorie di un ottuagenario Umano è quello che fannno gli uomini Soprannaturale è quello che fanno i santi No Umano è quello che fai tu Soprannaturale è quello che dovresti fare tu Kyra Bene, voi lo spate quanto me, le ragazze non sono realmente morali. Sa il cielo che noi abbiamo abbastanza nella testa per riuscire ad essere a un tempo queste due difficili cose: pratiche e romantiche. Sono assolutamente certa che non è mai vissuta una sola ragazza in possesso di una vera coscienza. I ragazzi hanno una morale, le ragazze hanno canoni standard. Questa è pressapoco l'unica grande e profonda differenza che esiste fra ragazzi e ragazze. Forse ecco perchè tutte le grandi religioni le hanno inventate i ragazzi, mentre le ragazze, a quanto pare, non sono destinate a inventare altro di più bello delle lettere d'amore e delle liste della spesa! D.Grubb - Le voci di Glory La donna non è una fortezza da espugnare, ma un giardino in cui passeggiare Kyra Ciò che apparente non ha senso è un po' difficile da spiegare, ma forse solo perchè ha ragioni più profonde di ciò che apparentemente il senso ce l'ha M.di Franco - 54 giorni sulla cima del monte bianco Il prossimo sono quelle persone che Dio ha mandato sulla terra per ricordarci che siamo soli Frate indovino Sono cose che si possono perdonare ma non dimenticare Kyra Lontano è ciò che lo è e profondo il profondo chi lo può toccare? Ecclesiaste 7-24 NULLI SE DICIT MULIER MEA NUBERE MALLE QUAM MIHI NON SE JUPITER IPSE PETAT DICIT: SED MULIER CUPIDO QUOD DICIT AMANTI IN VENTO ET RAPIDA SCRIBERE OPORTET AQUA La mia donna dice che preferisce concedere il suo amore a me che a chiunque altro, anche se la richiedesse lo stesso Giove. Dice: ma ciò che una donna dice all'amante impazzito di amore è meglio scriverlo nel vento e nell'acqua che scorre Catullo - Poema 70 Dopo un viaggio lungo e duro sono come una corda sfibrata e logora. Mi siedo e mi intreccio con nuovi fili... restando immobile sogno e ricordo i consigli di mio padre e le parole dei canti e le grida di tutti gli uccelli. Non parlo perchè ogni parola è una fibra che si strappa. Nessuno mi può toccare perchè ogni contatto porta via un pezzo di me. Anche tu devi imparare a fare altrettanto. Impara a stare in silenzio. Tracciati attorno un cerchio e non permettere anassuno di entrarvi M. West - Il navigatore Mi dici di avere pochi amici ma buoni. La dichiarazione, sta pur certo, è per la massa e per i bambini. E' una dichiarazione che vale per tutti quelli che non possono imporsi all'ambiente che li circonda. Per te, uomo valoro, apostolo deciso, la consegna è quest'altra: molti amici e cattivi- uanti umoni "cattivi" devono tornare a Cristo per l'amicizia di un apostolo di Dio J.U. Loidi - Il valore divino dell'umano ...ma lei non capì cosa intendevo e io detesto spiegare una metafora. O mi si capisce oppure no. Non sono mica un'esegeta H. Boll - Opinioni di un clown Quello che sta fuori, a questo mondo ciascuno "sta fuori" rispetto agli altri, trova una cosa sempre peggiore o migliore di quello che ci sta dentro, sia la "cosa" felicitrà o infelicità, pena d'amore o "decadenza artistica" H. Boll - Opinioni di un clown il suo sguardo, al risveglio, è come un uccello che muore all'improvviso in pieno volo e precipita, precipita nell'iimensità delle disperazione H. Boll - Il treno era in orario "Senza di me non potresti più vivere?" "Si" risponde lui, e il suo cuore è così pesante che non ce la fa a ridere, e pensa: ora dovrei aggiungere perchè ti amo, il che sarebbe vero e non vero. Se lo dicessi dovrei baciarla, e sarebbe una menzogna, tutto sarebbe una menzogna, eppure potrei dire in piena coscienza: Ti amo, ma dovrei poi dare una lunga, lunga spiegazione, una spiegazione che non conosco ancora io stesso. Ecco ancora i suoi occhi, molto dolci e amorevoli e felici, il contrario degli occhi che ho tanto desiderato... che tanto desidero... e ancora una volta egli dice, guardando in fondo a quegli occhi: "Senza di te non potrei più vivere" e adesso sorride... H. Boll - Il treno era in orario Io le cose, forse, le vedo troppo oggettivamente in astratto e troppo soggettivamente in concreto Kyra Si può realizzare qualcosa di veramente serio con uomini che hanno paura dell'acqua fredda in una mattina d'inverno? J.U. Loidi - Il valore divino dell'umano ...ma non si è soli quando un altro ti ha lasciato, si è soli se qualcuno non è mai venuto R. Vecchioni - Ultimo spettacolo Je ne cherche pas. Je trouve N.N. VOCATUS ATQUE NON VOCATUS, DEUS ADERIT Chiamato o no (il) dio sarà presente M.West - Un mondo di vetro Je crie l'amour sur le mur N.N. Io vorrei rivederti per fare l'amore, non sognarti quando il sogno comincia a finire R.Vecchioni - Vorrei Ma anche nel peccato, l'atto dell'amore, compiuto con amore, si adombra della divinità M.West - L'avvocato del diavolo (Noi) trascendiamo dai limiti umani per svaporare nella sfera dell'infinito e dell'indefinito ORA CI CHIAMIAMO SPAZIO la luce della rivelazione dell'Uno ci ha resi non più uomini della terra, ma componenti peculiari dell'incommensurabile infinità dello spazio Kyra

mercoledì 31 dicembre 2008

Auguri


Ho usato il post numero 200 per parlare di Gaza :-(

Allora userò il 201 per fare a tutti gli auguri per il 2009

martedì 30 dicembre 2008

350 a 5


Questo il conto delle vittime palestinesi e israeliane.
La differenza mi pare evidente
, non voglio certo approvare il lancio di razzi su città indifese, ma rispondere a degli attacchi con poche conseguenze (nessun morto fino all'inizio delle ostilità) con l'operazione 'piombo fuso' ma pare davvero eccessivo.
Quello che mi da fastidio ancora una volta è la prepotenza dei violenti, l'impunita' dei potenti.
Nessuno che dica che quello che fa Israele e' un crimine di guerra, un genocidio e un crimine contro l'umanità, a parte qualche 'comunista' 'anti-semita'. I giornali, i politici, i potenti del mondo si affrettano a dire che Israele ha il diritto di difendersi, che "se lanciassero razzi sulla mia casa mi difenderei in tutti i modi" (Obama sigh!), che Hamas se l'e' cercata, certo la reazione e' stata un po' eccessiva, si chiede il cessate il fuoco, ma solo se Hamas smette di lanciare razzi.
E' chiaro che e' tutta propaganda e difesa di uno stato indifendibile. Perche' Israele e' intoccabile mentre l'Iraq era attaccabile? Perche' i palestinesi non hanno diritto ad una terra, dopo che la loro e' stata regalata gli ebrei dagli inglesi?
La situazione è molto complessa, 60 anni di guerra hanno reso le cose difficile da risolvere, ma appoggiare sempre indiscriminatamente Israele perche' e' l'avamposto dell'occidente in medio oriente e' criminale. Non si ottiene niente con la violenza, con l'oppressione, con la menzogna.
La Palestina ne e' la prova: 60 anni di guerra e siamo al punto di partenza, quanti attentati hanno fatto i terroristi e quante operazioni militari ha fatto l'esercito israeliano, quante intifade, quanti posti di blocco? e siamo sempre li'.
Sempre sangue, sempre morti, sempre oppressione e ingiustizia, sempre incertezza del furutro da entrambe le parti.
E allora basta!! basta armare i contendenti, basta appoggiare uno o l'altro sempre, basta rafforzare i violenti e affossare i pacifici! Due popoli, due stati. E soldi per far riprendere l'economia palestinese e sostenere Israele, ma con la condizione che non comprino armi, ma facciano scuole, strade, pozzi.
Non muri ma ponti!

lunedì 29 dicembre 2008

Afghanistan


Pagina 14 del quotidiano, e sul sito queste 2 righe

Afghanistan, quattordici bambini
uccisi in attentato davanti a scuola

KABUL - Sedici persone di cui quattordici bambini sono stati uccisi e 58 feriti in un attentato suicida nell'est dell'Afghanistan. Il bilancio è stato fatto dall'Isaf, la missione militare della Nato
(28 dicembre 2008)

Davvero ci sono persone di serie B, pensate se fosse successo in un paese occidentale, in Italia, negli USA, in Francia.

Scrive Giobbe Covatta nel suo libro L'incotinente bianco:

Buongiorno amici ascoltatori, apriamo questo radiogiornale con una notizia drammatica e raccapricciante, una di quelle notizie che nessun giornalista vorrebbe mai dover leggere nella sua vita.
Oggi in Italia sono morti 33.000 bambini tra zero e i dodici anni!
Messaggi di incredulità e cordoglio sono arrivati da tutto il mondop, mentre si moltiplicano le manifestazioni di lutto e solidarietà verso il nostro Paese, così duramente colpito.
E' stato deciso che per i prossimi trent'anni i telegernali non parleranno d'altro, e tutta la stampa dedicherà a questa tragedia la prima pagina per almeno quarant'anni.
La Con. Poet., la Confederazione dei Poeti, ha dichiarato che si poeterà su questo argomento per tutto il secolo............
Si è altresì stabilito che... Ma scusate un momento! Scusate, ma.. MA NO!!! Non è successo in Italia... è successo qui in Africa! E allora chissenefotte! Succede tutti i giorni, che cazzo di notizia è?
Scusateci per questo falso allarme, gentili ascoltatori, e passiamo subito alla prossima notizia...


aNobii colpisce ancora

4 libri ricevuti per Natale:
EVVIVA

mercoledì 24 dicembre 2008

Un vecchio cattolico integralista


Giovedì scorso alla scuola dell'infanzia Arcobaleno hanno fatto la recita di Natale. Bravissime le maestre che hanno organizzato il tutto: spettacolino con i bimbi vestiti da Babbo Natale, pupazzi di neve, alberi, renne, giocattoli ed elfi; canzoni cantate tutti in coro e, per i piu' grandi, recita della poesia. Dolcissimi i bimbi entusisati e calati nelle loro parti. Il tutto molto bello per i genitori e i nonni che riprendevano e scattavano fotografie.
E qui arriva il vecchio cattolico integralista: non sarebbe stato meglio fare una rappresentazione del Natale con pastori, re magi, Madonna, Giuseppe e bambin Gesù, asino e bue? Perchè, mi chiedo ancora, dobbiamo inventarci tradizioni che non esistono? Da dove viene Babbo Natale con renne e slitta volanti? e poi non erano gli gnomi ad aiutarlo? qui sono diventati gli elfi, e i pupazzi di neve gli regalano la sciarpa luminosa per vedere nella nebbia. Ma chi l'ha inventata questa cosa? Ma chi si sentirebbe offeso da una rappresentazione religiosa? chi non crede? e perchè? il Natale nasca da qui, dalla festa religiosa, è il ricordo della nascita di Cristo, ci si può credere o no ma questo è. Ci si trova a dover inventare delle tradizioni non nostre, ma neppure di nessun altro. Babbo Natale nasce come S.Nicola con i paramenti sacri da vescovo, diventa poi, grazie alla Coca Cola, il vecchio con barba bianca renne e slitta e colori bianco e rosso, perchè deve diventare il punto di riferimento delle nuove generazioni? ok non essere confessionali, ma tradizionali si. Ripeto che annullare le tradizioni religiose in nome della laicità è, secondo me, sbagliato, occorre integrarle, spiegarle, non imporle, ma nemmeno cancellarle. Occorre trovare valori condivisi, ma non serve inventarsi cose nuove.

Per un'analisi più seria e proveniente e proveniente da persona più competente rimando all'articolo di Franco Cardini apparso domenica scorsa su Avvenire
Dai presepi del meridione al nordico abete, teniamoci strette le nostre tradizioni più vive
A giudicare da certi partiti politici e da certa stampa, in Italia si sente un gran bisogno di radicamento, d’identità e di ritorno alle tradizioni più autentiche della nostra storia e della nostra gente. Splendida cosa, scelta opportuna, buona battaglia: purché non si esageri. Voglio dire due cose.
Primo: la tradizione non ha nulla a che vedere né con la pura e semplice conservazione, né con il pathos della nostalgia, né con archeologismi o folklorismi di sorta. La tradizione è un valore vivo, che muta e si arricchisce nel tempo. Essa è – come l’ha definita un grande musicista dell’Ottocento, Joseph Anton Bruckner – «memoria del fuoco, non culto delle ceneri». Il solo modo di esserle fedeli è reinventarla di continuo. Secondo: in un Paese come l’Italia, mosaico policentrico di culture reciprocamente collegate tra loro, ma tutte diverse, il vero centro della tradizione sta nel rapporto con la Chiesa cattolica e con le dimensioni comunitarie del sentimento e della pratica religiosa. Tutto il resto, a cominciare dalla lingua, è regionalistico o municipalistico; la stessa storia nazionale 'unitaria' è in gran parte un malinteso, per giunta troppo recente. Quando si parla dunque di tradizioni natalizie italiane, bisogna intendersi. Il presepio, ad esempio, è entrato profondamente nei nostri usi più cari: ma a partire dal Duecento, in seguito alla rivoluzione promossa da Francesco d’Assisi nel modo d’intendere, d’imitare e di amare Gesù nella sua nudità e debolezza. E soltanto a partire dal Sei-Settecento, a contatto con l’arte barocca e varie forme di artigianato locale, esso si è sviluppato raggiungendo risultati molto tipici e di grande qualità, ma molto diversi tra loro, soprattutto a Napoli, a Roma, nel Tirolo meridionale, in Garfagnana (Toscana del nord-ovest). L’albero di Natale, antica tradizione germanica (l’albero 'solare' del solstizio d’inverno) 'acculturata' nel cristianesimo luterano grazie a una leggenda che ne attribuisce l’origine a una visione di martin Lutero, sperduto in un bosco nella notte di Natale e salvato dal chiarore di luci apparse su un abete, è stato molto a lungo patrimonio del mondo evangelico nordeuropeo: solo lentamente è stato accettato prima dai cattolici tedeschi della Renania e dell’Austria-Baviera, quindi – non senza resistenze – dai cattolici non-tedeschi. Espungeremo pertanto l’abete carico di ornamenti colorati dall’italically correct, nel nome di una supposta «fedeltà alle tradizioni autentiche»?
Giammai: esso è ormai entrato nel nostro linguaggio tradizionale, si è certo universalizzato (si fanno alberi di natale anche a Shanghai) ma al tempo stesso ha fatto il suo ingresso anche in molte chiese. Lo si ricollega al Cristo Albero della Vita, al Cristo Asse del Mondo, e il suo carattere originariamente solare si collega agevolmente all’immagine del Cristo Sol Iustitiae. Esso è una prova evidente del fatto che le tradizioni sono qualcosa di vivo, in grado di sempre rinnovarsi. Del resto, in quanto festa invernale connessa con la fine dell’anno e quindi con quelle che nel mondo latino erano le libertates decembris – tempo di allegria, di scambio di doni e perfino di 'rovesciamento rituale dei ruoli' (l’episcopus puerorum, un fanciullo che per un giorno era simbolicamente a capo della diocesi; i padroni che per un giorno servivano a tavola gli schiavi e così via) –, il Natale conservava nella penisola italica, tramandati dalle origini pagane dei suoi popoli, alcuni residui di antichi culti vegetali. Uno di essi aveva a che fare appunto con un albero. In Toscana, durante le fatali 'dodici notti' tra il Natale e l’Epifania, doveva consumarsi lentamente sul focolare un 'ceppo', un grande tronco d’albero, al quale quando lo si accendeva si appoggiavano piccoli regali simbolici per tutta la famiglia. Il bruciare lento e costante del ceppo era di buon augurio per tutto l’anno, e dal suo scoppiettare si traevano vari auspici.
Così, ogni notte dell’intenso periodo liturgico era legata a un mese dell’anno.
E specialmente arcane erano le notti di Natale (o, in altre versioni, dell’Epifania), quando gli animali domestici parlavano e v’erano vari riti – connessi di solito col fuoco del camino o con le ceneri del focolare – per 'indovinare' il futuro.
Tutto un ampio settore del folklore natalizio, in quanto folklore di festa, riguardava il cibo. Consumare cibi carnei o dolci, ricchi di grasso o di zucchero, era di buon augurio. Nel giorno di Natale, in omaggio al Bambino che nasce, si privilegiavano i dolci, che sono alimento preferito appunto dai bambini: ma il cibo principale restava comunque l’alimento quotidiano ed eucaristico, il pane, che si arricchiva però di uvetta, noci, pinoli, frutta candita, uova e burro a seconda delle tradizioni (panettone lombardo, mandorlato piemontese, treccia veneta, pandolce ligure, buccellato lucchese, panpepato emiliano, parrozzo abruzzese e così via). Cibo natalizio tradizionale in Italia, ancora, il grande volatile arrosto o più spesso bollito, magari con l’aggiunta di salse (come le mostarde di frutta lombarde): forse un ricordo germanico, legato al consumo di cigni o di oche considerati animali 'solari' e quindi propri delle feste solstiziali. Ma tra Natale ed Epifania si compiva di solito anche l’annuo sacrificio dell’animale italico da carne per eccellenza, il maiale: e i bolliti di maiale accompagnati con piccoli legumi, le lenticchie (simbolo di prosperità in quanto la loro forma ricorda le monete), erano – e restano – obbligatori per Capodanno. Infine, fortissimo in tutta la penisola il culto dei 're' magi: specie in Lombardia e nell’arco alpino, dove la festa e le reliquie dei tre 'santi re' sono oggetto di venerazione particolare da quando, nel 1164, il cancelliere imperiale Rainaldo, arcivescovo di Colonia, trasferì i loro resti da Milano alla sua cattedrale sul Reno. Natale, Capodanno ed Epifania sono feste punteggiate di riti paraliturgici a carattere popolare, tra cui emergono le processioni come quelle 'della Stella', evidentemente dedicata ai magi, nell’arco alpino (celebre quella di Palù in provincia di Belluno), oppure le 'Pasquelle' e 'Befanate' dal Veneto alla Lucchesia alle Marche. Comunissime anche le 'Feste del Fuoco', grandi falò in evidente rapporto – ancora una volta – con il solstizio, ma che continuano nel nostro folklore fino ai roghi invernali purificatori di carnevale (il celebre 'Brucialavecchia'). Molti noti e suggestivi i 'Fuochi d’Inverno' sulle Alpi – a volte fiaccolate di sciatori –, i 'borielli' mantovani, i 'pignauri' udinesi e così via. Quel che il 'fuoco sacro' caccia è l’anno vecchio, con i suoi influssi malsani (le febbri invernali). Lo si vede bene a Poggio Catino presso Rieti, dove la notte di San Silvestro si celebra un grande veglione ch’è in realtà un rito esorcistico dell’anno vecchio.
Anche a Roma, il tempio del Sol Invictus è divenuto la chiesa di San Silvestro: e il rito solstiziale si è mutato nella celebrazione cristiane dell’Anno Nuovo. E il buon vecchio Babbo Natale, con i suoi abiti bianche e rossi e la barba candida?
È un travestimento di san Nicola, vescovo di Myra e di Bari, generoso portatore di doni che nel Nordeuropa ha mantenuto il suo ruolo (mentre in Italia settentrionale i doni li portano il Bambino Gesù o i Magi; e, nel Meridione, talora 'i morti', cioè gli antenati). Ma ai primi del Novecento la ditta della Coca Cola ha avuto l’idea di laicizzare e 'paganizzare' il vescovo Nicola, che da 'Santa Klaus' è divenuto Babbo Natale, mutando i paramenti episcopali in un ricco abito da guidatore di slitte nordico. Si dovrebbe espungere Father Christmas dalle nostre tradizioni: ma ormai – grazie a Walt Disney e a John R.R. Tolkien – c’è entrato alla grande. Teniamocelo. Ma che non accada più (e alludo all’orribile Halloween, da combattere con tutte le forze nel nome della nostra bella festa di Ognissanti).

martedì 16 dicembre 2008

L'uomo e la vita


Interessante l'Istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede "Dignitas personae. Su alcune questioni di bioetica" anche se un po' teorica in alcuni punti, molto belle le conclusioni che riporto qui sotto.
L'insegnamento della Chiesa parte da considerazioni giuste ed importanti sulla dignità dell'uomo, sulla sacralità della vita, sull'essere dalla parte dei più deboli. In alcuni punti, ad esempio sulla famiglia, mi pare però si leghi troppo ad alcune considerazioni teoriche e scenda poco nello specifico, nella realtà di tutti i giorni. Certo l'istruzione vuole dare linee guida non affrontare tutti i singoli casi, ma alcune affermazioni risultano un po' secche e inammovibili quando invece tutto dovrebbe essere sempre riportato alle difficoltà della realtà.

Molto interessante anche l'intervento di Vittorio Possenti Vita, disporne liberamente che, con uno stile forse un po' complesso, analizza il concetto di vita indisponibile, di rapporto tra persona e tecnica e di accanimento terapeutico


CONCLUSIONE
L’insegnamento morale della Chiesa è stato talvolta accusato di contenere troppi divieti. In realtà esso è
fondato sul riconoscimento e sulla promozione di tutti i doni che il Creatore ha concesso all’uomo, come la
vita, la conoscenza, la libertà e l’amore. Un particolare apprezzamento meritano perciò non soltanto le attività conoscitive dell’uomo, ma anche quelle pratiche, come il lavoro e l’attività tecnologica. Con queste ultime,
infatti, l’uomo, partecipe del potere creatore di Dio, è chiamato a trasformare il creato, ordinandone le
molteplici risorse in favore della dignità e del benessere di tutti gli uomini e di tutto l’uomo, e ad esserne
anche il custode del valore e dell’intrinseca bellezza.
Ma la storia dell’umanità è testimone di come l’uomo abbia abusato, e abusi ancora, del potere e delle
capacità che gli sono state affidate da Dio, dando luogo a diverse forme di ingiusta discriminazione e di
oppressione nei confronti dei più deboli e dei più indifesi. I quotidiani attentati contro la vita umana;
l’esistenza di grandi aree di povertà nelle quali gli uomini muoiono di fame e di malattia, esclusi dalle risorse
conoscitive e pratiche di cui invece dispongono in sovrabbondanza molti Paesi; uno sviluppo tecnologico ed
industriale che sta creando il concreto rischio di un crollo dell’ecosistema; l’uso delle ricerche scientifiche
nell’ambito della fisica, della chimica e della biologia per scopi bellici; le numerose guerre che ancor oggi
dividono popoli e culture, sono, purtroppo, soltanto alcuni segni eloquenti di come l’uomo possa fare un
cattivo uso delle sue capacità e diventare il peggior nemico di se stesso, perdendo la consapevolezza della sua alta e specifica vocazione di essere collaboratore dell’opera creatrice di Dio.
Parallelamente la storia dell’umanità manifesta un reale progresso nella comprensione e nel riconoscimento
del valore e della dignità di ogni persona, fondamento dei diritti e degli imperativi etici con cui si è cercato e
si cerca di costruire la società umana. Proprio in nome della promozione della dignità umana si è, perciò,
vietato ogni comportamento ed ogni stile di vita che risultava lesivo di tale dignità. Così, per esempio, i
divieti, giuridico-politici e non solo etici, nei confronti delle varie forme di razzismo e di schiavitù, delle
ingiuste discriminazioni ed emarginazioni delle donne, dei bambini, delle persone malate o con gravi
disabilità, sono testimonianza evidente del riconoscimento del valore inalienabile e dell’intrinseca dignità di
ogni essere umano e segno di un progresso autentico che percorre la storia dell’umanità. In altri termini, la
legittimità di ogni divieto si fonda sulla necessità di tutelare un autentico bene morale.
Se il progresso umano e sociale si è inizialmente caratterizzato soprattutto attraverso lo sviluppo
dell’industria e della produzione dei beni di consumo, oggi si qualifica per lo sviluppo dell’informatica, delle
ricerche nel campo della genetica, della medicina e delle biotecnologie applicate anche all’uomo, settori di
grande importanza per il futuro dell’umanità nei quali, però, si verificano anche evidenti e inaccettabili abusi.
«Come un secolo fa ad essere oppressa nei suoi fondamentali diritti era la classe operaia, e la Chiesa con
grande coraggio ne prese le difese, proclamando i sacrosanti diritti della persona del lavoratore, così ora,
quando un’altra categoria di persone è oppressa nel diritto fondamentale alla vita, la Chiesa sente di dover
dare voce con immutato coraggio a chi non ha voce. Il suo è sempre il grido evangelico in difesa dei poveri
del mondo, di quanti sono minacciati, disprezzati e oppressi nei loro diritti umani» [59].
In virtù della missione dottrinale e pastorale della Chiesa, la Congregazione per la Dottrina della Fede si è
sentita in dovere di riaffermare la dignità e i diritti fondamentali e inalienabili di ogni singolo essere umano,
anche negli stadi iniziali della sua esistenza, e di esplicitare le esigenze di tutela e di rispetto che il
riconoscimento di tale dignità a tutti richiede.
L’adempimento di questo dovere implica il coraggio di opporsi a tutte quelle pratiche che determinano una
grave e ingiusta discriminazione nei confronti degli esseri umani non ancora nati, che hanno la dignità di
persona, creati anch’essi ad immagine di Dio. Dietro ogni “no” rifulge, nella fatica del discernimento tra il
bene e il male, un grande “sì” al riconoscimento della dignità e del valore inalienabili di ogni singolo ed
irripetibile essere umano chiamato all’esistenza.
I fedeli si impegneranno con forza a promuovere una nuova cultura della vita, accogliendo i contenuti di
questa Istruzione con l'assenso religioso del loro spirito, sapendo che Dio offre sempre la grazia necessaria per osservare i suoi comandamenti e che in ogni essere umano, soprattutto nei più piccoli, si incontra Cristo stesso (cf. Mt 25, 40). Anche tutti gli uomini di buona volontà, in particolare i medici e i ricercatori aperti al confronto e desiderosi di raggiungere la verità, sapranno comprendere e condividere questi principi e
valutazioni, volti alla tutela della fragile condizione dell’essere umano nei suoi stadi iniziali di vita e alla
promozione di una civiltà più umana.

giovedì 4 dicembre 2008

Perchè l'uomo viva

Copio dalla newsletter Pro-Vita questa interessante intervista che affronta in modo scientifico il problema dell'aborto. Al di là delle convinzioni etiche, religiose o politiche di ciascuno questo testo chiarisce alcuni punti importanti, primo fra tutti la non differenza (scientifica) fra feto e bambino. Mi pare fondamentale partire da considerazioni scientifiche per affrontare il tema dell'aborto, sarà poi certamente necessario approfondire anche i temi etici e i convincimenti personali per giungere a una corretta regolamentazione di questo problema. Credo però che si debbano prima di tutto superare certi steccati ideologici che hanno fatto dell'aborto una bandiera, un segno di appartenenza, un terreno di scontro e non un dramma della persona da affrontare e risolvere.

Perchè l'uomo viva
Moratoria contro l’aborto. Nuovi limiti per la legge 194.
Temi caldi, che hanno acceso una battaglia mediatica di giudizi e opinioni. Solo una questione etica?
No, secondo un importante neonatologo italiano.
Che spiega qual è il modo più ragionevole per affrontare il problema: lasciare parlare i fatti

Un tema scottante, quello della “vita”. Prima l’appello di Giuliano Ferrara per una moratoria contro l’aborto, e ora la legge regionale della Lombardia che pone il limite delle 22 settimane all’aborto terapeutico. Il dibattito che ne è nato ha scatenato un putiferio di opinioni e giudizi che nell’ultimo mese hanno riempito i giornali. Al richiamo del Papa, per il quale «le nuove frontiere della bioetica non impongono una scelta fra la scienza e la morale, ma esigono piuttosto un uso morale della scienza» e al suo auspicio che sia stimolato il dialogo «sul carattere sacro della vita»,
molti intellettuali, politici e scienziati hanno risposto additando a una Chiesa ingerente in campo laico, bigotta e contro la modernità. Ne abbiamo parlato con Carlo Valerio Bellieni, neonatologo del Policlinico Universitario “Le Scotte” di Siena.

Mentre in Italia imperversa la bagarre, nel suo reparto si fa ricerca per tenere in vita i bambini nati prematuramente... La questione dei nati prematuri è un problema affascinante. Fa vedere da un lato come il progresso della Medicina vada avanti e come, dall’altro, questo progresso non faccia comodo. Negli anni 60 il 90% dei bambini nati prematuri sotto il chilo morivano. Oggi ne muore solo il 10%. La percentuale del 90% di quel periodo corrisponde, oggi, a quella dei prematuri nati alla 22esima settimana che non ce la fanno. Adesso si dice: siccome ne muoiono 9 su 10, è un accanimento terapeutico. Se avessero detto così negli anni 60 dei bambini sotto il chilo, la Medicina non avrebbe fatto i passi da gigante che ha fatto.

Cosa è cambiato da allora? Ci sono stati tre passi avanti importanti. Primo: la possibilità di dare alle mamme prima del parto un tipo di cortisone, per far sviluppare gli alveoli polmonari del bambino. Secondo: quella di somministrare una sostanza, che si chiama surfattante, nei polmoni dei bambini, per farglieli aprire. Terzo: l’invenzione di microsistemi per entrare nelle piccole vene dei neonati per iniettare liquidi e altre sostanze, come antibiotici, per tenerli in vita. Questo negli anni 60 era impensabile, ma se avessero deciso che sotto il chilo di peso non li avrebbero rianimati perché tanto sarebbero morti… Tutte queste novità non ci sarebbero. E in Italia migliaia di genitori non sarebbero diventati genitori.

La ricerca è necessaria, quindi. Chi la frena? È questo un primo problema: se si pensa di mettere degli steccati alla ricerca scientifica sulla base di alcuni criteri che non sono scientifici, si blocca la ricerca stessa. La Chiesa è di tutt’altro parere: la ricerca scientifica deve andare avanti, sempre. L’unico ostacolo che ci deve essere è la dignità della persona. Se io voglio fare un esperimento su un paziente malato e lui non è d’accordo, non lo devo fare. Punto. Ma non è un impedimento. È rispetto. Mentre mettere degli ostacoli alle cure dei bambini piccolissimi sì che è bloccare la ricerca. Prendiamo la spina bifida, una malattia per la quale il Protocollo di Gronigen sull’eutanasia è ben noto: se i soldi dati per propagandare l’eutanasia li dessero per propagandare l’unico sistema che funziona per prevenire la malattia, cioè somministrare acido folico alle mamme in gravidanza, non ci sarebbero tante spine bifide. Ora, è più logico per la ricerca scientifica eliminare i bambini o curarli? Se li eliminiamo non impariamo a curarli. Lo stesso vale per la sindrome di Down. Si fa una ricerca a tappeto del bambino Down prima della nascita spesso per eliminarlo e non c’è, forse, un soldo speso per la ricerca della terapia di questa malattia. Non è detto che ce la si possa fare, ma è sciocco non provarci.

Perché non ci si prova? Perché è più semplice non farli nascere. Per la sindrome di Down c’è un esempio molto chiaro. Negli Usa negli anni 80 un bambino con la sindrome nacque e fu lasciato morire perché aveva una malformazione all’esofago. I genitori dissero: «Non vogliamo che mangi». Gli risposero che ci voleva poco a curarlo. Non vollero comunque. E lo fecero morire. In seguito a questo episodio la Corte Suprema americana emise una sentenza che obbligava a trattare il bambino disabile esattamente come il bambino non disabile. Questo ora lo stanno rimettendo in discussione.

In che modo? Secondo due criteri. Il primo è quello di dire che la qualità della vita deve essere misurata, e se la qualità della vita è al di sotto di un certo standard la vita non vale pena di essere vissuta. La seconda cosa è dire che questo deve essere deciso dai genitori: i genitori non soltanto sarebbero i tutori dei figli, ma anche i padroni e, quindi, se non se la sentono di crescere un bambino con disabilità, hanno diritto di chiedere che muoia. Sembra una cosa terribile. Eppure in vari protocolli internazionali c’è scritto che le cure possono essere sospese quando la morte
si sta avvicinando, o quando il bambino soffre in maniera terribile, oppure quando i genitori non ce la facciano più.

Quali sono i nuovi limiti su cui lavorare? Negli ultimi anni siamo arrivati a capire che il bambino, invece che a 26-27 settimane, come avveniva negli anni 80, ora può sopravvivere molto più piccolo. Il limite di oggi, teoricamente, è quello delle 22 settimane di gestazione. Questo non vuol dire che tutti sopravvivono: magari! Rimane sempre una certa percentuale, alta, che muore. E di quelli che vivono, circa la metà avrà una qualche disabilità. Ma questo non è un motivo per non provarci. Soprattutto non è un motivo per non dare una chance a tutti i bambini. Se io ho la certezza che il mio tentativo terapeutico non serve a niente, non lo devo fare: sarebbe mettere le mani addosso a qualcuno non nel suo interesse ma nel mio. Ma se ho qualche possibilità, anche una su cento, che il mio intervento possa servire, allora lo devo fare. Questo vale sempre per gli adulti. Perché non vale per i neonati?

Appunto, perché? Si sta cercando di decidere che c’è un’età della vita, un tipo di vita che vale la pena di essere vissuta. Che è quella che normalmente si chiama “giovinezza”. Non è la giovinezza anagrafica, o una giovinezza caratterizzata dalla voglia di costruire rapporti, di inventare, di stupirsi, ma quella che ha come caratteristica l’assenza di responsabilità e la possibilità di muoversi senza rispondere a nessuno. È questo l’ideale della vita. Un tempo si parlava di giovinezza per un’età della vita tra i 15 e i 25 anni, ma oggi questa giovinezza è estesa culturalmente, sia prima che dopo. Prima, perché i bambini più piccoli scimmiottano i più grandi per essere calcolati; dopo, perché anche i più vecchietti si vogliono sentire più giovani, cioè gente che non ha nessun rapporto stabile con nessuno, in cui uno da solo pensa di essere legge a se stesso. Quello che non è “giovinezza” non vale niente: è meglio che sparisca. Bambini, vecchi e disabili. Queste tre categorie nella società di oggi sono i paria, i nuovi perseguitati. Letteralmente, non valgono niente. Ci sono filosofi che spiegano, per esempio, che non soltanto il feto non è una persona, cosa già da sola assolutamente discutibile, ma non lo è neppure il bambino fino all’anno di vita: dicono che fino all’anno di vita non c’è autocoscienza e, quindi, i bambini non sono persone. Ma non basta: se una donna si permette di far nascere un bambino dopo aver visto che ha una disabilità, c’è chi propone di denunciarla per maltrattamenti. Un domani l’anziano non autosufficiente potrà sentirsi “obbligato” a chiedere di morire. Esiste sì un problema scientifico, ma anche un problema culturale.

Da dove nasce questa concezione? Da una mancanza di educazione: nessuno più dice, a parte la Chiesa, il valore della persona. Non tanto in termini religiosi, ma a livello esperienziale. Non c’è nessuno nelle scuole, per esempio, che educhi alla disabilità: tutte le classi hanno inserito un ragazzo disabile, e questo è un vanto della scuola italiana. Ma nessuno educa a come trattare questa persona e a capire che è una risorsa, non una disgrazia. È un problema educativo. Poi il resto sono conseguenze.

C’è una grande ignoranza su questi temi, soprattutto riguardo ad alcune pratiche... Certamente. Ma il vero problema è quando abbiamo a che fare con cose che non fanno “orrore”, che non sono i casi limite che fanno inorridire. E che sono, per così dire, passate come anche giustificabili! Povero bambino, si sente dire spesso: come facciamo a mettere a rischio la sua felicità sapendo che avrà il 50% di possibilità di avere una qualche disabilità? Lasciamolo morire. Questo non fa orrore: questo è un “bel discorso”. Che è ancora peggiore di quello che poi fa orrore. Allora il terzo punto è: perché non li riconosciamo “dei nostri”? Certo, manca un’educazione. Ma esiste un
problema psicologico portante, documentato in letteratura. È quello della fobia che si ha verso se stessi. Il problema di non riconoscere le possibilità agli altri, dipende dal fatto che uno su di sé non sente nessuna chance. Hanno fatto uno studio in Nuova Zelanda, di recente, in cui facevano vedere come i neonatologi che sospendono più facilmente le cure ai neonati sono quelli che hanno più paura di ammalarsi. Questo fa intuire che uno ha uno sguardo “buono” sugli altri - non nel senso che gli fa l’occhietto, ma nel senso che gli dà credito, che ci parla, che ci interagisce -, se lo
sente su di sé.

Può spiegare quest’ultima affermazione? Nel reparto dove lavoro, abbiamo iniziato in questi ultimi anni a fare ricerca scientifica nel campo del dolore del feto e del neonato proprio sulla base di questo. Il neonato viene tenuto in considerazione solo da pochi anni come persona, non solo filosoficamente, ma proprio nei reparti. Abbiamo fatto uno studio due anni fa e abbiamo visto che in Italia non si cura abbastanza il dolore del bambino; e talora il piccolo viene isolato dai genitori, cosa che non si farebbe mai con un adulto. Anni fa, in seguito ad alcune vicende personali, ho
cominciato un’esperienza per verificare cosa avviene se proviamo ad accarezzare questi bimbi, a parlarci. Sembrava di fare una cosa un po’ pazzoide, parlare con dei neonati. Ma un po’ alla volta abbiamo visto che parlandoci, accarezzandoli, dando qualche goccia di zucchero e iniziando a strutturare questa pratica, i bambini non sentivano più dolore e crescevano meglio. Allora su questa scoperta abbiamo creato dei sistemi contro il dolore, delle scale per la sua valutazione, interpretando il loro linguaggio. Siamo stati tra i primi al mondo a studiare il linguaggio del pianto
dei bambini con strumenti oggettivi, con la sua spettrometria, creando e brevettando strumenti appositi per questo, le cui linee guida sono diventate punti di riferimento a livello internazionale. È qualcosa di incredibile. Ma è accaduto solo perché c’era un’ipotesi positiva, non perché eravamo bravi noi. E questa viene solo dal fatto che qualcuno ti fa vedere che vali indipendentemente da quello che sei.

Oggi come procede il vostro lavoro? Qui a Siena, ormai, siamo un centro di riferimento mondiale per gli studi sul dolore del bambino, e quindi anche del feto. Il feto sente dolore, e quindi ha diritto di non sentirlo e ha diritto di essere curato. Abbiamo fatto studi anche sul benessere, studiato i campi magnetici e i rumori cui sono sottoposti i piccoli. Questo non l’ha fatto quasi mai nessuno. Il fatto che nelle incubatrici ci siano campi magnetici più intensi di quelli che sono permessi per stare davanti a un monitor di computer, non interessa a nessuno? Abbiamo cominciato a studiare i riflessi dei bambini dentro la pancia della mamma: come strizzano gli occhi, come si spaventano. O, ancora, come si ricordano i figli delle ballerine della danza che hanno fatto le mamme in gravidanza, o i ricordi di quelli con mamme costrette a letto durante la gestazione. Siamo entrati in un campo di ricerca fecondissimo, partendo dall’ipotesi positiva di pensare che sono persone come noi: che non parlano come noi, che non ragionano come noi,
che non pesano come noi, ma che sono esattamente come noi. E quindi hanno diritto a essere trattati bene. Perché se vado dal dentista e mi strappa un dente senza anestesia, prima mi arrabbio e poi lo denuncio, e invece al bambino posso fare un prelievo senza analgesia e non dice niente nessuno?

Quindi, ci sono i fondamenti scientifici per cambiare una legge di 30 anni fa? C’è tutto. La legge 194 dice chiaramente che l’aborto non deve essere praticato, se non nel caso di rischio per la vita di una donna, da quando il feto ha la possibilità di una vita autonoma. Il bambino oggi ha la possibilità di vivere al di fuori della pancia della mamma, realisticamente, dalle 22 settimane. Sopravvivono in pochi: in Giappone circa il 30%, da noi meno. Ma comunque alcuni vivono. E siccome la legge non parla di “sicurezza di sopravvivenza” ma di “possibilità”, la possibilità c’è. Il primo bambino sopravvissuto nato alla 22esima settimana oggi ha 18 anni. È successo a Toronto,
Canada. La legge 194 dovrebbe rispettare questa realtà dei fatti. E se tra dieci anni il nuovo limite basso per la nascita sarà 18 settimane, la legge dovrà rispettare le 18 settimane. A me la legge non piace. È una legge che tratta in maniera diversa due persone, mamma e bambino, che dovrebbero essere trattati in maniera uguale. Ma dato che c’è, che sia rispettata e applicata fino in fondo.

Sembra che il problema principale sia di stabilire una differenza tra feto e bambino. Cosa ne pensa? Il termine feto è “inventato”. Si usa da qualche decina d’anni. I Romani che parlavano di fetus intendevano esclusivamente il bambino: era il frutto, la progenie, non era il bambino prima della nascita. Ci sono due cose strane nella parola “feto”. Una è che è un termine neutro, non ha maschile e femminile. Proprio per sottolineare l’idea di “cosa” . E quante assonanze con parole come fetente, difetto, fetido... Poi, in inglese e francese si scrive con il dittongo, foetus: ma è una bugia, una sovra-latinizzazione (perché in latino si scrive fetus) per far diventare la cosa più aulica e più scientifica. Quindi il problema ce lo siamo posti adesso, di dire che qualcuno prima della nascita vale meno di dopo la nascita. Prima uno “era” dal momento in cui era concepito. Tanto è vero che il 25 marzo, il giorno dell’Annunciazione, segnava anche l’inizio del calendario a Firenze e Siena, almeno fino all’arrivo dei Medici. Il problema del feto e del bambino è fasullo. Si vuole far credere alla magia, cioè che l’aria entri nei polmoni e con un tocco magico faccia diventare qualcuno di serie B un individuo di serie A. Non è così.

Uno è una persona solo se qualcun altro lo definisce così, insomma... È sempre stato così, si è fatto coi neri, con gli ebrei. Decido che non sei una persona perché non mi piaci. Il problema non è stare a discutere se sono 21, 22 settimane o 23. Il problema è capire che uno c’è. E quando uno c’è, ha diritto di essere curato. Noi abbiamo paura, abbiamo paura della vita, di tutto. Che accada una cosa nuova, un figlio, non è più visto come un’opportunità inaspettata. L’unica cosa che si accetta dalla vita è solo ciò che si è programmato. Tutto il resto non si vuol neppure sapere che esiste, deve sparire. Tutto quello che non ci piace deve sparire. Non per cattiveria, ma per paura. Quando invece non si ha paura di questo, per qualche combinazione, per qualche amicizia - ricordo il giorno e l’ora di quando ho cambiato il mio modo di approcciarmi ai bambini - scatta l’intuizione che nella vita possa esserci un progetto buono. Allora cominci a capire che di questo progetto buono fanno parte tutte le cose, non soltanto quello che piace a te.
Paolo Perego
Tracce N. 2
febbraio 2008

mercoledì 26 novembre 2008

Armi, Guerra e Polizia

Rapporto SIPRI sulle armi: andiamo sempre peggio.
Finche' la nostra economia si basera' in larga parte sulla produzione e vendita di armi, non si potra' fare molto per migliorare il mondo.
Italia ottava per spesa militare, settima per export.
Finmeccanica quinto posto nel mondo e primo in Europa per profitti legati al settore militare.
Come possiamo sperare di fare qualcosa se le società statunitensi e dell’Europa Occidentale realizzano il 92% delle vendite di armamenti nel 2006?
Come possiamo ritenerci innocenti delle sciagure mondiali se produciamo e vendiamo armi ogni anno di piu'?
Un'economia di morte. Le nostre ricchezze grondano sangue.
Spesso penso che in fondo io non faccio nulla contro il terzo mondo, che sono loro che non si sanno governare, che non conoscono la democrazia e si uccidono per rivalse tribali.
Poi leggo questi rapporti e capisco che le cose sono un po' piu' complesse, capisco che tenere nell'ignoranza e nella poverta' milioni di persone ci fa comodo.
Il 20% del mondo consuma l'80% delle ricchezze: ormai e' una frase che non mi fa neppure piu' effetto, sono numeri un po' vuoti, ma se mi fermo a pensarci mi vengono i brividi, anche perche' io sono in quel 20%.
Bisogna cominciare a tagliare le spese militari, a riconvertire l'industria bellica, a mettere fuori legge la vendita di armi, solo dopo questo si potra' parlare di pace, di sviluppo, di cooperazione di democrazia, senza questo sono parole vuote, illusioni.


Cambiano argomento (ma non molto) ho trovato su FaceBook questo gruppo
Numero di matricola sui caschi delle forze dell'ordine! con queste tre proposte:
1. Numero di matricola ben visibile su caschi e divise
2. Responsabilità diretta ed automatica dei superiori nei riguardi delle azioni dei loro sottoposti
3. Sospensione immediata dal servizio in caso di condanna anche di primo grado
Assolutamente condivisibili

venerdì 21 novembre 2008

Capitan Uncino


Gian Piero Steccato, “Capitan Uncino” ha scritto una lettera aperta sul “Caso Eluana” all’On. Eugenia Maria Roccella, sottosegretario di Stato al lavoro, alla salute e alle politiche sociali.

Ho 59 anni e sono affetto da Locked-in Syndrome. Sono rimasto molto colpito dalla decisione di sospendere la nutrizione a Eluana Englaro. Mi sono venuti i brividi quando ho ascoltato la motivazione di questa presa di posizione. Eluana, in salute, aveva ripetutamente detto che avrebbe voluto vivere la sua vita a pieno, altrimenti avrebbe preferito morire. Ma è facile esprimersi così, a vent’anni si è nel pieno delle proprie forze e si crede di essere invincibili. Anch’io quando ero in salute ho ripetuto più volte questa frase, ma quando mi sono trovato “in trappola” e non riuscivo a comunicare, avrei voluto gridare “Fatemi vivere!”.Questo per dire come possono cambiare le cose; quante volte ho sentito genitori dire: “Se mio figlio beve o si droga lo butto fuori casa!”. Per fortuna le cose non vanno così, ci sono milioni di genitori che fanno di tutto per aiutare i figli in queste situazioni e vivono ancora nelle loro famiglie. Quante madri, mogli, famiglie vivono quotidianamente con le disabilità dei loro cari con sacrificio e tanto rispetto e amore? Direi che queste prese di posizione che tendono all’eutanasia non portano rispetto alle “carcasse umane” prodotte dalle gravi disabilità che non possono dire la loro, e a coloro che si prodigano con progetti ed attività (vedi “Casa dei Risvegli”) ad aiutare i pazienti e le loro famiglie. Mi sento anche di affermare che la società odierna, pronta a scoprire la luna o l’impossibile, è la società del “bello”, del “superfluo” e non dell’utile e del rispetto. Dico questo anche in merito alla trasmissione “Porta a Porta” del 13 novembre dove ho sentito le sue parole, onorevole Roccella, ed ho apprezzato e condiviso i suoi messaggi, ma di nuovo rabbrividendo alle affermazioni in trasmissione. Mi sono reso conto che per Eluana non c’è via di scampo. Lei ha avuto la colpa di dire venti anni fa “a gamba sana” (e senza testimoni o scritti), “se non vivo a pieno lasciatemi morire …”. Non credo neanche che il “Testamento biologico” possa essere una soluzione ottimale: che valore avrebbe decidere “ora per allora”? Quando si apre un testamento, prima che venga beneficiato il patrimonio, si guardano mille cavilli e poi si fanno le divisioni, trattandosi di soldi o beni tramutabili in euro. La vita dell’uomo vale meno: nessuna divisione, si sospende la nutrizione e il padre (che rispetto per il suo dolore), i gruppi fanatici, i giudici, non hanno dubbi. Questo mi spaventa e mi fa pensare: io che nella grande sfortuna chiedo di vivere, fino a quando riuscirò a farlo? Fino a che è viva mia moglie che mi vuole ancora bene e mi accudisce senza mai lamentarsi? Se si prova disprezzo nel vedere il filmato di un paziente in coma (in trasmissione hanno chiesto chiarimenti sul consenso della persona non in grado alla decisione) fin quando potrò uscire con la mia carrozzina e godermi il sole, i rumori e l’affetto degli amici e i buffetti dei passanti? Sono una persona cresciuta nell’onestà e nel rispetto delle persone e voglio poter uscire come tutti, non devo scontare nessuna pena e non mi vergogno della mia disabilità.
Carissima onorevole, mi rivolgo alla sua autorevole persona affinché possa aiutarmi a vivere, in questa società che predilige il “bello” e il “comodo” e che non rispetta i valori della vita. Vorrei che i casi come il mio venissero alla luce, che il popolo italiano accogliesse i disabili nella vita di tutti i giorni, in strada, a teatro, nelle feste, nella televisione, perché anche noi abbiamo bisogno di emozioni, della gente, della normalità.

martedì 18 novembre 2008

Ancora Presepe



Nemmeno quest'anno si farà il presepe alla materna Arcobaleno.
Ero partito con grande entusiasmo e fiducia: alla prima riunione dell'anno avrei proposto il presepe! Prima avevo tastato il terreno con qualche genitore e avevo avuto risposte positive.
Arriva finalmente la riunione e quando stanno per parlare le insegnanti di religione Rossella (mia moglie) chiede se è possibile fare il presepe. Subito interviene una mamma dicendo che lei e' atea, quindi contraria, anzi canta perfino in un coro anticlericale!!! (chissà' cosa cantano!) Interviene poi la pedagogista spiegando che non si può imporre a tutti un certo credo, che la scuola deve essere laica e che si devono cercare simboli del Natale validi per tutti.
Cerco di spiegare che vorrei fare il presepe non come simbolo religioso, ma culturale, come l'albero, i regali, babbo natale ecc. Tutti si affrettano a precisare che il presepe è ben diverso e chiaramente confessionale.
Le insegnanti di religione subito intervengono per dire che non vogliono imporre niente a nessuno, allora proviamo a proporre il presepe almeno nelle ore di religione e ci viene detto che se ne parlerà perchè comunque le cose fatte nelle ore di religione vengono appese nella scuola e non si vorrebbe offendere qualcuno appendendo simboli religiosi.
Azz non ce l'ho fatta neanche quest'anno!!!!!!
A parte gli scherzi ciò che mi ha colpito non e' la posizione della mamma atea che comprendo e accetto è quella della pedagogista e delle maestre (anche di religione) che non mi piace.
Mi pare il risultato di un eccessiva paura della religione e in generale di tutto ciò che non e' 'neutro'.
Provo a spiegarmi: sono d'accordo sul non mettere simboli religiosi o politici nelle scuole, su non presentare idee religiose o politiche, sul mantenere l'educazione su idee generalmente condivise, come la tolleranza, il rispetto degli altri ecc. ecc.
In particolare capisco che la religione cattolica sia stata per lungo tempo un po' invasiva, anche perchè una grande maggioranza vi si riconosceva, ma togliere ogni riferimento religioso in tutto ciò che accade mi pare eccessivo.
Il Natale nasce come festa religiosa, perchè negarlo? come già dicevo l'anno scorso sarebbe come festeggiare la primavera il 25 aprile.
Fra le nostre radici culturali c'è anche la religione: cattolica, ma anche gli dei romani e greci, ora anche le influenze islamiche si faranno sentire, perchè escluderle a priori?
Il Natale ha vari simboli: il presepe simbolo religioso che ricorda da dove nasce la festa, l'albero simbolo nordico di rinascita e di forza, Babbo Natale simbolo che nasce religioso (san Nicola) e diventa commerciale (coca cola) di felicita', di dono, di premio per i bambini buoni, poi ci sono le luci segno di festa e allegria, c'è il pranzo famigliare riunione di tutta la famiglia ecc. ecc. perchè dobbiamo toglierne uno?
"Glielo dica lui" diceva la mia dada perche' dare dei lei ad un uomo era inconcepibile dato che in bolognese si usa il voi: ipercorezione dialettale la chiamava la mia prof di italiano.
Ipercorrezione laica vogliama chiamarla?

venerdì 14 novembre 2008

Giustizia












Due notizie importanti oggi:
Eluana Englaro: la corte di cassazione ha respinto il ricorso alla sentenza che permette il distacco del sondino che la alimenta.
Scuola Diaz: condannati alcuni poliziotti, ma non i capi.

Sul primo caso ho gia' scritto e ripeto che mi e' difficile pronunciarmi. La Englaro e' in SVP, ma non attaccata ad una macchina, per vivere ha bisogno solo del sondino, di essere alimentata, pero' sono 16 anni che e' in questa condizione, quante speranze ci sono di una ripresa? nessuna.
E' eutanasia? e' accanimento terapeutico? e' una vita da salvaguardare?
Io sono sempre per la vita in ogni sua forma ed in ogni condizione, ma questa e' vita vegetale. Certo che interromperla volontariamente fa tremare, staccare il tubo e aspettare che muoia fa impressione, ma anche continuare questo calvario fa pensare.
La medicina ci ha posto difronte a situazioni estreme come questa (per fortuna poche) e non sappiamo che fare, la legge non c'e' e la cosa tocca problemi molto profondi difficili da risolvere e difficile conciliare le posizioni. Anche il testamento biologico mi pare uno strumento debole: si puo' decidere di non essere rianimati? di non essere curati?
Lo stato deve salvaguardare la liberta' della persona o alcuni principi fondanti?

Anche sulla polizia e alcuni abusi commessi da poliziotti ho gia' scritto.
In questo caso per quanti riguarda i capi mi rimetto alla sentenza dei giudici, anche se il non sapere e' certo una colpa meno grave ma comunque da punire. Io sono stato nell'esercito e mi hanno insegnato che se un soldato sbaglia la colpa va da lui fino al generale, in gradi diversi tutti i superiori sono colpevoli.
Per quanto riguarda i poliziotti invece mi paiono ridicole le pene comminate: dai 3 ai 5 anni.
Mi pare ci sia un buco legislativo
: sono accusati di violenza privata e falso ideologico, reati che prevedono queste pene. Ma un conto e' se io prendo un bastone picchio il mio vicino, un altro se un dipendente dello stato, armato e autorizzato ad esercitare violenza, si approfitta della sua posizione, degli strumenti di offesa che gli sono stati forniti e durante una manifestazione attacca in modo violento, eccessivo ed indiscriminato persone indifese.
In questo processo c'era poco da provare, sono evidenti a tutti le modalita' del blitz della polizia: 'macelleria messicana' e' stata definita da un funzionario di polizia.
Ma cio' che mi infastidisce davvero e' l'mpunita' con cui queste cose vengono fatte.
Nel nostro ordinamento giudiziario non sono previste le pene corporali, ma sono di fatto applicate, nelle manifestazioni, nelle carceri, nei commissariati, vengono accettate come un male necessario: allora introduciamole per legge almeno non sara' l'arbitrio di chi mi arresta ma una regola precisa. I violentatori in carcere vengono puniti dagli altri carcerati, lo sanno tutti e a tutti sta bene, se lo meritano.
Ma questo non e' uno stato di diritto!
Abbiamo visto tutti le immagini dei pestaggi in strada, del funzionario che strattona e prende a calci un ragazzino con lo zaino in spalla, abbiamo visto uscire dalla Diaz persone sanguinanti ancora nel sacco a pelo egli altri con le mani sulla testa come fossero dei terroristi, anche sul pullman in cui erano stati caricati dovevano tenere le mani sulla testa, chissa' avrebbero potuto picchiare qualcuno!!
83 feriti di cui 3 in prognosi riservata, ma questo deve fare la polizia?
Le forze dell'ordine sono autorizzate ad usare la violenza per frenare la folla scatenata, per bloccare chi delinque, ma sempre senza eccessi, devono impedire di commettere un reato, accanirsi sulle persone a terra non rientra in queste cose, picchiare persone nel sacco a pelo nemmeno. Potrei capire durante degli scontri di piazza qualche eccesso, anche se pure questi andrebbero puniti, ma all'interno di una scuola? senza alcuna resistenza! e se anche ci fosse stata, e' necessario picchiare fino al sangue, spezzare gambe e braccia? lo sfollagente serve per disperdere la folla, per riattaccare chi attacca con armi simili, per rendere inoffensivo un violento, non per renderlo in fin di vita!
Bisogna chiarire questi punti, non e' possibile andare avanti cosi', deve essere chiaro cosa puo' o non puo' fare un poliziotto e chi sbaglia deve pagare, come prima cosa deve essere espulso dalla polizia, possiamo tenere per strada persone che perdono la testa e massacrano degli innocenti, che non riescono a valutare le situazioni e il tipo di risposta da dare, che non hanno la capacita' di fermarsi???
Invece e' entrato nella normalita' il poliziotto violento, il carcere fisicamente punitivo, le percosse. E nessuno che dica: "chi ha sbagliato paghi chi e' innocente venga scagionato". No o si dice: "polizia fascista!" o "i poliziotti hanno fatto solo il loro dovere".
Penso ci voglia veramente una rifondazione della polizia, un ripensamento generale che coinvolga tutti e porti a decisioni serie e concrete

lunedì 10 novembre 2008

Promesse elettorali


Ecco la lista di 10 promesse fatte in campagna elettorale da Obama che riguardano il mondo intero:
  1. Ridurre le emissioni di anidride carbonica degli Usa dell’80% entro il 2050 e svolgere un ruolo forte e positivo nel negoziare un trattato vincolante per rimpiazzare il Protocollo di Kyoto in scadenza
  2. Ritirare le truppe dall’Iraq entro 16 mesi, senza mantenere basi permanenti nel paese
  3. Stabilire l’obiettivo chiaro di eliminare le armi nucleari dal pianeta
  4. Chiudere il centro detentivo di Guantanamo Bay
  5. Raddoppiare gli aiuti Usa per dimezzare la povertà estrema entro il 2015 ed accelerare la lotta a Aids/Hiv, tubercolosi e malaria
  6. Aprire relazioni diplomatiche con paesi come Iran e Siria, per perseguire la pacifica risoluzione delle tensioni
  7. De-politicizzare i servizi segreti in modo che non si ripetano mai piu’ manipolazioni come quelle che hanno spinto gli Usa in Iraq
  8. Lanciare uno sforzo diplomatico all’altezza di fermare le stragi in Darfur
  9. Accettare di negoziare solo nuovi accordi commerciali che contengano protezioni ambientali e del lavoro
  10. Investire 150 miliardi di dollari in 10 anni per supportare le energie rinnovabili e raggiungere un milione di auto elettriche in strada entro il 2015
Promesse ambiziose, chissà se ce la farà.
Comunque salta all'occhio come siano innovative rispetto alle promesse alle nostre elezioni, anche Veltroni proponeva sviluppo, infrastrutture, inceneritori, guerra. Finalmente qualcosa di nuovo.

Non voglio con questo unirmi al coro osannante per l'elezione di Obama, per essere eletti in america (ma anche da noi) occorrono alle spalle poteri forti, dire che gli americani hanno scelto per il cambiamento mi pare un po' ingenuo. Intanto ha votato il 64% e di questi la maggioranza ha scelto Obama, quindi circa il 40% della popolazione ha scelto il cambiamento. La cosa positiva secondo me è che i poteri forti dietro ad Obama non sono più i petrolieri, ma esponenti delle energie alternative. La notizia buona è che l'America (non gli americani) ha capito che la guerra continua, il capitalismo selvaggio, le disuguaglianze troppo forti, l'inquinamento, non portano frutti per nessuno, ne' per i ricchi, ne' tantomeno per i poveri.
Qualcosa di buono quindi potrà venire da tutto questo, ma smettiamo di parlare del colore della pelle, importante anche questo, ma chiaramente frutto di uno studio di immagine: proporre un giovane, self made man, nero è stata una scommessa, ma ben studiata.
Sono però molto felice di questa elezione, dopo tante cattive notizie finalmente si muove qualcosa, finalmente si può sperare in tempi migliori.
Forza Obama

P.S. L'immagine è presa dal sito dell'Associazione Sarda per lo studio alla Sindrome di Marfan

mercoledì 5 novembre 2008

Barack Obama

Impensabile fino a qualche anno fa: un nero presidente e un bianco vice sul palco a festeggiare la vittoria con le mogli

lunedì 27 ottobre 2008

Kossiga

"Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand'ero ministro dell'Interno. In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perchè pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito... Lasciarli fare (gli universitari, ndr). Ritirare le forze di Polizia dalle strade e dalle Università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di Polizia e Carabinieri. Nel senso che le forze dell'ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano. Soprattutto i docenti. Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì... questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l'incendio".

Intervista a Francesco Cossiga. Presidente emerito della Repubblica Italiana e senatore a vita.

mercoledì 22 ottobre 2008

Pochi bambini down arrivano alla nascita


Uno dei problemi dell'attuale legge sull'aborto, secondo me, è quello che riguarda la malformazione del feto, perchè induce nelle persone il pensiero che sia normale ricorrere all'aborto se il feto è malformato.

Riporto dalla legge
L. 22 maggio 1978, n. 194
Norme per la tutela sociale della maternità
e sull'interruzione volontaria della gravidanza.

4. Per l'interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, si rivolge ad un consultorio pubblico

6. L'interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata:
a)(...)
b)quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.

Il problema è che non si distinguono i vari livelli di malformazione: ci sono malattie che portano alla morte del bambino in poche ore o al massimo mesi dalla nascita, ci sono malattie che rendono invalidi per sempre, ci sono malformazioni che rendono completamente incapaci di ragionare.
Ma è chiaro che le differenze sono moltissime: se non si può costringere una donna a portare in grembo un bambino che morirà sicuramente, è altrettanto orribile sopprimere un bambino che avrà cero problemi, ma potrà condurre una vita serena, come ad esempio con la sindrome di Down, che rende la vita difficile, ma non impossibile, non porta a morte precoce (ormai nemmeno in giovane età) e può dare una qualità della vita eccellente.
La salute psichica della donna (non parlo ovviamente di quella fisica) potrà correre seri pericoli in caso di malformazione mortale ma assai meno in caso di sindrome di Down, però molte madri si sottopongono all'amniocentesi anche per accertare questa sindrome e vengono spesso consigliate per l'IVG se presente.
E' facile cadere nell'eugenetica, nel rifiuto del diverso e nell'equazione salute=felicità.


Copio dal sito Pro-Vita
ROMA, domenica, 28 settembre 2008 (ZENIT.org).- In seguito alla candidatura repubblicana del Governatore Sarah Palin alla vicepresidenza degli Stati Uniti è riemerso l’interesse per la sindrome di Down. Il 18 aprile, Palin ha dato alla luce Trig Paxon Van Palin, pur avendo saputo dai medici, nel dicembre scorso, che il bimbo era affetto dalla sindrome di Down, come riferito dall’Associated Press il 3 maggio. Secondo un articolo dell’opinionista Michael Gerson, pubblicato sul Washington Post del 10 settembre, quando le analisi prenatali rivelano la presenza della sindrome di down, il 90% delle volte si decide per l’aborto. Ma il numero degli aborti di bambini affetti dalla sindrome potrebbe ulteriormente aumentare se la raccomandazione emanata lo scorso anno dalla American College of Obstetricians and Gynecologists venisse applicata, ha aggiunto. Il College ha infatti invitato a sottoporre precocemente all’analisi per la sindrome di Down tutte le donne in gravidanza e non solo quelle al di sopra di una certa età, i cui bambini hanno quindi maggiori probabilità di esserne affetti. Gerson ha tuttavia sostenuto che i figli nati con sindrome di Down “generalmente non vengono considerati dai loro genitori come una maledizione ma come una complessa benedizione”. Molti medici e consiglieri, tuttavia, invitano le madri ad abortire. Questa tendenza a voler porre fine a vite “imperfette”, ha proseguito Gerson, non può essere tenuta distinta rispetto al nostro generale atteggiamento nei confronti dei disabili. “Questa tendenza alimenta un darwinismo sociale in cui il più forte è considerato migliore, la persona dipendente come avente un valore inferiore e in cui i deboli debbono talvolta essere oggetto di selezione”, ha concluso. Verità profonde Nonostante le difficoltà di chi si trova con un figlio down, molti quotidiani hanno raccontato casi in cui i genitori che si sono trovati in queste situazioni hanno vissuto esperienze positive. Crescere un figlio down può portare alla luce molte verità profonde per i genitori e i loro figli, secondo il Washington Post del 14 settembre. Nell’articolo si descrive il caso di Adrianne Pedlikin, madre di tre figli, tra cui un bambino di 10 anni affetto dalla sindrome di Down. Pur riconoscendo le difficoltà e le sfide legate al dover crescere un figlio down, l’articolo sottolinea che, allo stesso tempo, sia Adrianne che suo marito Philip non nascondono il loro amore per questo figlio e affermano che la sua nascita ha cambiato la loro visione del mondo in senso positivo. L’articolo riferisce anche dell’esperienza di altre famiglie, che spesso si confrontano con la reticenza degli istituti scolastici ad accettare bambini down. Queste famiglie si trovano anche spesso ad essere tagliate fuori dalle altre famiglie ed i loro figli down spesso non vengono invitati a giocare con i loro coetanei. Un’altra testimonianza positiva di chi è genitore di un bimbo down è stata pubblicata il 2 giugno sul quotidiano britannico Guardian. Annie Rey racconta della repulsione che provava, quando era giovane, nei confronti dei disabili. Poi, arrivata ai 40 anni, ha scoperto di essere incinta di un bambino con la sindrome di Down.“Durante la gravidanza passavo dall’ottimismo alla disperazione: ottimismo nella speranza che il bambino, che all’età di 20 settimane abbiamo appreso essere maschio, non avesse veramente la sindrome di Down, e disperazione al pensiero che invece l’avesse”, ha scritto. Suo figlio Paddi ha ora 2 anni e lei ha accettato l’idea di avere un bambino down. Ha detto di aver scoperto che suo figlio non è “una diagnosi”, ma un bambino con molte qualità. “Sono fermamente convinta che se il mio prezioso bambino non esistesse, il nostro mondo, e forse il mondo intero, sarebbe un posto più povero”, ha concluso.
Padre John Flynn, LC
zenit 28 settembre 2008


P.S. Per chi volesse documentarsi meglio linko il testo della legge 194

martedì 21 ottobre 2008

Perche’ la sinistra sostiene berlusconi?

Ancora da Jacopo Fo un'intervento sul rifiuto di Berlusconi di adeguarsi agli accordi dell’Unione Europea per la riduzione delle emissioni di Anidride Carbonica. Come sempre preciso, chiaro e pratico

Perche’ la sinistra sostiene berlusconi?

mercoledì 15 ottobre 2008

CGIL: perchè lascio

Dopo lungo pensare ho deciso di dare disdetta dall'adesione alla CGIL.
Vari sono i motivi che mi hanno spinto a questa scelta.
Mi ero iscritto in un momento di crisi della ditta in cui lavoro: cassa integrazione, non rinnovo dei contratti formazione, blocco degli stipendi. Certo per motivi utilitaristici quindi, ma anche per appoggiare una struttura che ritenevo necessaria per i lavoratori.
Passati vari anni prevale però la delusione.
A livello di ditta non si e' riusciti a fare niente: non e' tutta colpa dei sindacalisti, i colleghi non sono stati molti attivi e la dirigenza si e' mossa molto bene, ma assai poco, per non dire nulla, e' stato fatto per portare avanti le rivendicazioni dei dipendenti. Sono stati eletti i rappresentanti sindacali interni che erano ovviamente inesperti e pochissimo sono stati aiutati a confrontarsi con la dirigenza. Ora il loro ruolo e' di divulgare ai colleghi le scelte imposte dall'alto. Le assemblee sindacali, all'inizio gremite, si sono via via svuotate, sia per la ripresa della ditta, sia per l'incapacità dei sindacalisti di portare idee valide e presentarle con decisione.
A livello nazionale, poi, non ho visto una grande attività, l'impressione che danno i sindacati confederati e' di essere 'un'altra casta' (come titola un libro a loro dedicato) che fa più i propri interessi che quelli dei lavoratori e quando anche li fa si ferma sempre ai dipendenti e non riesce ad arrivare a quella ormai purtroppo grande massa di contratti atipici.
Infine il costo: circa 120 euro all'anno che in questo momenti di crisi mi paiono troppi per un'istituzione finora inutile.
Lascio con rammarico perché ancora credo che il sindacato sia una necessita', un'istituzione che deve esserci, ma non questo sindacato, forse le RdB potranno portare avanti le giuste rivendicazioni dei lavoratori, ma in questo mondo del lavoro così cambiato così globalizzato bisogna inventare forme di rappresentanza nuove.

E' l'ora di cambiare le regole: si dia spazio alla finanza etica





A proposito di crollo dei mercati

Da Repubblica

Passate a Banca Etica!!!!!!!!!!!!!!!!

lunedì 13 ottobre 2008

Dopo Cofferati

Riporto le considerazioni di un amico impegnato in politica, Andrea De Pasquale, sull'uscita di scena di Cofferati

Cari amici,

poiché diversi di voi mi hanno chiesto un parere sulla rinuncia di Sergio Cofferati a ricandidarsi a sindaco nel 2009, affido a questa nota il mio punto di vista.

La scelta di Cofferati ha un difetto e due meriti. Il difetto è che risulta tardiva (dopo la disponibilità data a giugno e ribadita a settembre, il suo cambio di programma ha decisamente spiazzato innanzitutto i suoi fedeli, oggi oggettivamente meno credibili, ma anche lo stesso vertice del PD). I meriti sono la nettezza con cui ha posto fine al conflitto tra due impegni (padre a Genova e sindaco a Bologna) difficilmente compatibili se presi sul serio (e lo ha fatto assumendo su di sè il peso della scelta tra carriera e famiglia, anziché caricarla, come solitamente avviene, sulle spalle della madre), e l'avvedutezza con cui ha fiutato che l'aria in città non era a lui così favorevole come alcuni suoi sostenitori (sinceri o interessati) la dipingevano.

La rinuncia di Cofferati a ricandidarsi costituisce a mio giudizio una opportunità positiva per il PD bolognese, che può oggi tornare ad essere un partito normale, ed aprire una fase di un confronto sereno, superando il blocco dovuto al timore reverenziale e all'eccesso di zelo con cui si è voluto (improvvidamente) sottrarre il sindaco e le sue scelte amministrative ad ogni discussione interna. Una iper-protezione che alla lunga ha finito per indebolirlo e renderlo estraneo alla città.

Confido che ora il partito sappia ripartire da un ascolto vero e disincantato dei cittadini, per costruire una proposta amministrativa aggiornata alle esigenze di Bologna, in continuità con le buone pratiche dell'esperienza Cofferati e in discontinuità con quelle meno buone.

Le primarie si confermano la strada maestra per questa operazione di confronto e infine di selezione democratica delle persone più adatte a portare avanti una proposta amministrativa credibile, orientata al bene comune della città.

Allo scetticismo verso le primarie di chi, come Zamboni, afferma "il Pci non ha mai avuto bisogno di sistemi strani per trovare un candidato autorevole", ricordo che la stranezza a cui si fa riferimento ha un nome: democrazia. Se rispetto la nostalgia di alcuni compagni di strada per il "vecchio" PCI, suggerisco però di non assumerlo a modello per il "nuovo" Partito Democratico. Al contrario, credo che oggi la selezione della classe dirigente debba sempre più fare i conti con meccanismi fisiologici di competizione interna, ai partiti o alle coalizioni, per favorire un minimo di ricambio, contenere la tendenza delle gerarchie di partito ad autoconservarsi, e riavvicinarle alla sensibilità dei cittadini.

Quindi, concludendo: un grazie a Cofferati per avere tratto la conclusione più opportuna, e ai miei dirigenti di partito un invito ad andare avanti con coraggio sulla strada della libera discussione e della selezione democratica dei candidati.
Andrea De Pasquale
consigliere provinciale
presidente IV Commissione "Pianificazione, Trasporti, Viabilità"
Provincia di Bologna

venerdì 10 ottobre 2008

Proviamoci come cristiani

Da Carta l'intervento di Raniero la Valle all'assemblea di Sinistra Cristiana

Buongiorno. Shalom. Scusate se leggo questo discorso. Ci sono discorsi che non si possono improvvisare, alcuni per farli ci vuole una vita.
Sarebbe tempo che i politici si mettessero a scrivere i loro discorsi. Ciò per far sì che il pensiero preceda la parola, ciò che molto spesso non accade, non accade più.
In verità parlare senza leggere è considerata una virtù del buon politico; è un ingrediente del successo in tempi di grandi comunicatori. Nella campagna elettorale americana si vedono i candidati che parlano a lungo fissando negli occhi le telecamere; in realtà leggono il gobbo, che è un modo di leggere senza farsene accorgere.
C’è anche qualche infortunio. Una volta io leggevo in Senato il mio discorso. Si discuteva la legge 194 sull’aborto. Era un discorso delicato, perché come cristiani della Sinistra indipendente noi non volevamo solo agitare una bandiera – quello si poteva fare anche parlando a braccio – ma volevamo fare una legge equilibrata, che non tradisse nessun principio, ma che ci facesse uscire dalla logica punitiva della legge penale. Cercavamo di fare una legge diversa da quella già approvata alla Camera, dato che c’era il bipolarismo; lavoravamo a una legge che da un lato offrisse una chance alla vita, dall’altro scongiurasse la tragedia di tante donne già nel dolore. Come laici, ma anche come cristiani, cercavamo una soluzione persuasiva, che potesse durare nel tempo, e che un giorno perfino la Chiesa potesse accettare, e addirittura chiederne l’attuazione, almeno come «minor male», come poi infatti è accaduto. Si poteva fare, perché in realtà sulle questioni politiche, anche su quelle eticamente sensibili, c’è sempre una soluzione politica storicamente possibile.
Perciò leggevo il mio discorso. E a un certo punto il Presidente del Senato, Fanfani, mi interruppe e mi disse: Senatore La Valle, lei fa tante citazioni, ma dovrebbe conoscere anche il regolamento del Senato, che vieta di leggere i discorsi in aula. Infatti nel regolamento c’era una norma bizzarra di questo genere, non so se ci sia ancora; forse era il residuo di un tempo in cui in Parlamento si andava solo per parlare, perché a decidere ci pensavano gli altri; un po’ come si vorrebbe fare oggi offrendo qualche seggio agli esclusi come «diritto di tribuna», una tribuna fatta per i tromboni.
Quella norma del regolamento era giustamente in disuso, ed era la prima volta, che io sappia, che un Presidente redarguiva un senatore perché aveva preparato il suo discorso. Ma è chiaro che era un modo per prendere le distanze da quello che dicevo, non un cavillo regolamentare; anche quando si presiede il Senato si fa politica, non ci si limita a un ruolo di garanzia.
Dunque io leggo ora questo discorso. E la prima cosa che c’è scritta, perché io non la dimentichi, è di fare gli auguri a tutti quelli in quest’aula che si chiamano Francesco e si chiamano Francesca, perché oggi è San Francesco, patrono d’Italia e dunque è la loro festa e anche la nostra. Ed è bello vedere che oggi molti bambini di nuovo vengono chiamati Francesco, dopo l’orgia dei nomi esotici e improbabili ricavati dai modelli televisivi.

Non solo spettatori
La seconda cosa che c’è scritta è che oggi, 4 ottobre, c’è l’incontro al Quirinale tra il Presidente della Repubblica e il Papa, e noi vogliamo fare gli auguri anche per questo. E anzi abbiamo pensato di non fare solo gli spettatori, che poi cambiano canale, ma di partecipare anche noi come cittadini a questo evento: e per questo, anticipando quelli che pensavamo fossero i sentimenti di questa Assemblea, abbiamo scritto una lettera al Papa e una al Presidente della Repubblica per confidare loro quello che ci piacerebbe che si dicessero. Queste lettere sono nella cartellina, se siete d’accordo qui ci vuole un applauso [e si possono leggere sul sito www.sinistracristiana.net]

Gandhi e Dossetti
Per continuare sul filo delle coincidenze, diciamo che l’altro ieri, 2 ottobre, anniversario della nascita di Gandhi, era, indetta dalla Nazioni Unite, la giornata della Satyagraha, che è la ricerca gandhiana della verità e dell’amore, altrimenti detta nonviolenza. Io ricordo la commozione di Dossetti, quando fece sosta presso la tomba di Gandhi a Nuova Delhi, durante un viaggio in India. Dossetti è uno dei maestri che sta nella nostra tradizione; e quella visita alla tomba di Gandhi non era solo un omaggio a un altro grande maestro, era stabilire una comunione, forse una preghiera in comune.
Gandhi non è solo il liberatore dell’India; prima ancora è stato difensore e redentore degli immigrati, quando egli stesso era immigrato in Sudafrica, e come avvocato indiano era considerato meno che niente. Gandhi lottò non solo per sé, ma per dare dignità e parità di diritti agli immigrati: ed è proprio lì, nel ricco e bianco Sudafrica nero che egli ha cominciato ad essere quello che poi sarebbe diventato .
Perciò, amici, accogliete gli immigrati: perché in ogni immigrato che sbarca a Lampedusa o che viene dall’Est ci potrebbe essere un Gandhi, ci potrebbe essere un liberatore del suo popolo o di molti popoli. Anzi è proprio questa la nuova obiezione di coscienza da fare, contro le leggi antixenite; e le chiamo antixenite, e non xenofobe, perché non sono affatto leggi dettate dalla paura, ma sono leggi dettate dal razzismo, dall’odio e dal rifiuto, esattamente come lo erano le norme antisemite.

L’obiezione da fare
Questa è la nuova obiezione. In Italia non si può fare più l’obiezione di coscienza al servizio militare obbligatorio, perché quando l’obiezione passò da concessione del potere a diritto del cittadino, per buttare l’obiezione buttarono via l’esercito di leva.
Non si può fare e non si deve fare l’obiezione fiscale, perché quella l’ha fatta il governo, l’ha fatta la destra diffamando le tasse, definendo come un furto o come un borseggio ogni prelievo fiscale; lo ha fatto trasformando le elezioni in un referendum anticostituzionale sull’Ici; la destra non toglie le tasse, ma le delegittima, allo scopo di togliere allo Stato tutte le sue risorse, tutti i soldi per la spesa pubblica e così poter dire, per ragioni di cassa e non per ragioni ideologiche, che non si possono fare politiche sociali, che bisogna licenziare 87.000 insegnanti, che bisogna svuotare l’Istituto superiore per la sanità, che non ci sono i soldi per i comuni, non ci sono soldi per salvare l’Alitalia, non ci sono soldi per la cultura, per il teatro, per l’editoria e così finalmente riuscire a chiudere anche Liberazione e il Manifesto. L’attacco della destra al denaro pubblico è un attacco al cuore dello Stato. Senza denaro, e sperperando il poco denaro che si ha, non vivono le città. Senza più soldi, dopo l’amministrazione del dottore che cura Berlusconi, Catania era ridotta al buio e sepolta dalla spazzatura, anche se nessuno lo diceva e lo faceva vedere, perché non c’era da far perdere a Prodi le elezioni.
Allora l’obiezione da fare, e che noi proponiamo, è quella contro le leggi ingiuste che vietano di dare ospitalità allo straniero. Nella nostra laicità, se c’è una cosa che diciamo «sacra», cioè che non si può toccare, è l’ospitalità: ma così è in tutte le culture, o almeno lo era. Noi dobbiamo fare obiezione ospitando e dando asilo agli stranieri come facemmo ospitando gli ebrei nelle nostre case e nelle nostre chiese quando, altrettanto come ora, l’ospitalità era un delitto.
Naturalmente non vi chiediamo di fare un’obiezione spericolata, rischiando di farvi confiscare le vostre case come minacciano le leggi razziali del governo. L’art. 5 del decreto legge sulla sicurezza che introduce nella legislazione sullo straniero la norma anti-ospitalità, dice che si commina la reclusione da 6 mesi a 3 anni e la confisca dell’immobile a chi dà alloggio a uno straniero irregolare «a titolo oneroso al fine di trarne ingiusto profitto». Dunque per fare obiezione senza esporsi alla vendetta penale, basta ospitare lo straniero gratuitamente e senza «ingiusto» profitto, magari premunendosi col farne apposita dichiarazione presso un notaio. Così la norma finirà per colpire solo quelli che speculano sulla pelle dello straniero.

La patria è al di là del confine
Ma perché è così importante il rapporto con lo straniero, e non solo in Italia?
Perché il problema globale e imprescindibile di oggi è la riconciliazione di tutti i popoli che sono l’uno all’altro stranieri; il problema è che ciascuno ritrovi la sua patria, ma la trovi oltre i suoi confini, al di là del fiume, là dove sono altri uomini e donne, altri figli e figlie come lui; se questo non si farà, non ci sarà pace sulla terra, e forse un giorno non ci sarà nemmeno la terra. È stato dato già 2000 anni fa l’annunzio della caduta del muro tra giudei e greci, cittadini e barbari, romani e Sciti; è venuto il momento di dare attuazione a questo annuncio. Se non fa questo, la politica è perduta. È perduta in America, è perduta in Europa, è perduta in Israele.
Un barlume di luce è venuto in questi giorni da Israele quando il primo ministro uscente, Olmert, per la prima volta ha detto che non esiste l’ipotesi del grande Israele, dal mare al Giordano; che se Israele vuole rimanere uno Stato ebraico, e non divenire uno Stato in cui gli ebrei siano una minoranza, deve contrarsi per far posto accanto a sé a uno Stato palestinese; e per questo è stato presentato alla Knesset un disegno di legge che offre forti incentivi economici ai coloni ebrei insediati nei territori occupati, perché rientrino dentro i vecchi confini di Israele del 1967. Ciò significa dire: fin qui abbiamo sbagliato. È la rottura di un tabù, riguardo alla terra – Eretz Israel – finora vissuto in Israele come un assoluto religioso. Ma se non si rompe questo tabù, non c’è alcuna soluzione per la questione palestinese [vedete fin dove arriva la laicità!]; e se le religioni per prime non tolgono la copertura religiosa alle sacre are, ai sacri fiumi e ai sacri confini della Patria, ancora di più i popoli si contrapporranno gli uni agli altri, gli Stati gli uni agli altri e le culture le une alle altre, e non potrà esserci pace, e nemmeno diritto, e quindi nemmeno politica, su scala mondiale.
Perciò è importante l’obiezione di coscienza che nega obbedienza a tutto ciò che è contro la straniero, che si tratti di armi o di basi offensive, di leggi, di sanzioni o di dazi, di apartheid e di sfruttamento.

Per Vicenza, andare direttamente alla Casa Bianca
Per restare alle date, domani si terrà a Vicenza la consultazione popolare sulla base di dissuasione e di ritorsione nucleare che sta per essere installata nel centro della città. Berlusconi prima, il Consiglio di Stato poi lo hanno vietato: ma, come abbiamo sentito, con straordinario coraggio la città voterà lo stesso. In ogni modo così è diventato chiaro che la questione di Vicenza è una grande questione politica nazionale. Se il governo di centrosinistra di Prodi non è più lì, è anche perché non aveva capito questo. È una grande questione politica nazionale, perché è la scelta di due modi, per l’Italia, di stare al mondo, e di pensare il futuro del mondo, nella guerra nucleare o nella pace. In questa alternativa non c’è una città che possa farcela da sé, e non ci sono soluzioni giudiziarie: la magistratura che giudica su tutto, non giudica il potere, sulla guerra e le opere di guerra. E poiché non si dà altra motivazione nell’ordinanza del Consiglio di Stato se non quella che il terreno è stato già consegnato al sovrano americano, allora noi proponiamo di aprire la questione con questo preteso sovrano. Mettere una base nucleare nel cuore di una città europea è un errore anche per gli Stati Uniti. Non solo perdono l’immagine, ma quella identità per la quale hanno ancora un ascolto presso gli altri popoli. Obama questo lo può capire. Con Bush finisce nella sconfitta il sogno della destra americana di tenere buono il mondo dominandolo. L’Iraq insegna che il mondo non diventa un posto sicuro solo perché lo si invade. La sicurezza non sta nel delirio della solitudine presidiata dalla forza, ma nella forza di crearsi amicizie e di mantenerle. Se vince Obama, la sua stessa vittoria avrà un grandissimo impatto simbolico. Forse il cambiamento può cominciare da lì; e se cambia l’America cambia il mondo. Perciò io penso che si potrebbe fin da ora preparare una delegazione dei comuni e della città di Vicenza, di quei cittadini che non si vuole che esprimano il loro parere in Italia, perché lo vadano ad esprimere a Washington. C’è una diplomazia dal basso che il movimento della pace, ed anche i comuni e le regioni, hanno già sperimentato. E se alla Casa Bianca sono ricevuti i governi, possono essere ricevuti anche i popoli.

Come ristabilire il legame sociale, la «colla»
E così veniamo alla nostra iniziativa, perché è sorta e perché ha osato presentarsi con questo nome: per giustificarne l’esistenza basterebbe questo compito, che è di lottare per l’unità internazionale, politica, pacifica, della intera famiglia umana.
Mai l’umanità è stata così divisa come in questi tempi di globalizzazione. E questo ci getta nel cuore della crisi di oggi, una crisi che non è solo nostra, ma di tutti, non è della nostra o di altre nazioni, ma è una crisi globale. Il Dio Mammona ci sta per tradire. Non solo c’è la crisi della speculazione finanziaria che dai santuari dell’America e dell’Inghilterra si sta diffondendo in tutto il sistema, e anche da noi. Come dice Jeremy Rifkin ci sono tre crisi: la crisi del credito, perché si tratta di ripianare venti anni di spese pazze fatte con denaro virtuale, la crisi energetica perché il petrolio è agli sgoccioli, e la crisi del riscaldamento climatico, contro cui nessuno sa cosa fare. Sono tre elefanti, dice, che si muovono tutti e tre in una piccola stanza, con effetti devastanti. Occorre una riforma radicale del sistema (v. Repubblica del 30 settembre 2008, pag. 9). Come riconoscono ormai anche i più accaniti fautori del mercato, è la crisi della stessa globalizzazione e dell’attuale modo di produzione e di sviluppo.
Ma al di là dell’ordine economico, la crisi investe l’intero sistema delle relazioni umane. Come interpretare questo tempo della crisi? Io ricordo che proprio Dossetti, osservando lo stato del nostro Paese e del mondo, disse una volta: non c’è più la colla.
Cioè non c’è più il legame sociale che fa stare insieme sistemi complessi.
E infatti se noi guardiamo alle radici più profonde della crisi, noi vediamo che esse stanno in questo venir meno della capacità, della voglia e della gioia di vivere insieme, che è ciò in cui consiste la comunità politica, la polis.
E infatti non ci sono più o sono stati licenziati i grandi strumenti di aggregazione. Qualificandole come obsolete, sono state licenziate le ideologie. Come troppo invadenti sono stati licenziati i partiti. La scuola è rovesciata in azienda, per liquidare, come si dice esplicitamente, don Milani; il movimento della pace non può più nemmeno esporre in pubblico le proprie bandiere; la Chiesa si mobilita per battaglie certamente legittime, ma che non aggregano e anzi dividono; la Costituzione, fatta a pezzi, non è più la casa comune di tutti gli italiani; e sul piano internazionale il diritto è abbandonato, le Convenzioni di Ginevra sono ricusate, l’Onu vilipesa, le regole non ci sono più. «Deregulation» è stata l’ultima e definitiva ideologia del Novecento.
È come se avesse vinto l’«anomos», come lo chiama San Paolo, l’uomo senza legge, senza diritto, quello che annuncia la catastrofe; e l’unica idea, disperata, che sono stati capaci di avanzare finora i grandi poteri sovrani, è di risolvere tutto con la guerra.
Che fare invece per ridare una chance alla politica? Che fare per ristabilire il legame sociale, per ritrovare la colla, per prendere le vie della giustizia, prima di rotture irreparabili, prima che l’amore finisca?
Molti tentativi di riaggregazione sono finora falliti. E perciò abbiamo detto: proviamoci come cristiani.

Proviamoci come cristiani, con tutti gli altri che sono per la giustizia
Sappiamo che è una cosa temeraria. Perché giustamente non si usa più mettere la religione in mezzo alle cose politiche, perché ciò appare in contrasto con la laicità, e di fatto lo è, se a farlo sono le Chiese. Ma soprattutto è una cosa temeraria perché non impunemente ci si può dire cristiani; è un nome che non ci decora, ma che ci giudica, e richiederebbe da chiunque accetti di unirsi a questo titolo una capacità superiore di indignazione e di mitezza, di coraggio e di pazienza, di intransigenza e di indulgenza, di cui non so se tutti saremo capaci.
Sicché si è molto discusso durante l’estate e fino ad ora se dovessimo mantenere la dizione «sinistra cristiana» che stava in testa al nostro manifesto. Molti dicevano di no, perché cristiane si possono dire solo le persone, non è un’etichetta da mettere alle cose; ed avevano ragione. Molti dicevano di sì, perché rispetto a ciò che volevamo evocare con questa parola non c’era un altro nome superiore a questo nome, ed avevano ragione. Molti erano incerti, ma ricordavano le ferite profonde e le cicatrici lasciate nella storia dall’associazione della parola cristiana con democrazia, o dal dire cristiana una società, una politica, una dottrina sociale, ed avevano ragione.
Allora mi è tornato alla mente un apologo che Leonardo Sciascia ci raccontò nella Commissione parlamentare sul caso Moro, quando non si riusciva a venire a capo di quanto era accaduto e a stabilire la verità politica di quel delitto. C’erano tre discepoli, disse, che andarono da un maestro per sottoporgli una loro disputa, e chiedergli chi di loro avesse ragione. Il primo espose la sua tesi, e il maestro gli disse: figliolo, hai ragione. Il secondo gli espose la tesi opposta, e il maestro gli disse: figliolo, hai ragione. Allora il terzo obiettò dicendo: non è possibile che tutti e due abbiano ragione. E il maestro disse: figliolo, anche tu hai ragione. Questo vuol dire che la verità c’è, contro ogni relativismo, ma non subito si trova.
Così abbiamo mantenuto la dizione sinistra cristiana, aggiungendo però, perché nessuno si sentisse escluso (nessun ebreo, nessun musulmano, nessun ateo): Laici per la giustizia. Non abbiamo inteso dare una soluzione teorica alla disputa, né pretendiamo indicare un modello normativo sul giusto rapporto tra fede e politica e sui nomi che deve avere. Però non abbiamo voluto che l’abbondanza delle analisi fosse di paralisi per l’azione, e abbiamo tenuto questo nome perché giustamente non abbiamo trovato sinonimi o parafrasi: è vero che cristianesimo ha molti significati; però è anche vero che c’è qualcosa che può essere definita solo con questo nome; e abbiamo visto che proprio questo nome dava la speranza di qualcosa di nuovo; e abbiamo capito che se cadeva il nome cadeva anche la cosa.
La motivazione più umile e persuasiva, per prendere questo nome, è che si tratta di fronteggiare una situazione di emergenza. In tempi normali non lo avremmo adottato, ma qui si tratta di fare appello a tutte le risorse interiori, a straordinarie risorse di amore e di sacrificio, come diceva Claudio Napoleoni, e fare appello a tutte le energie, anche a quelle nascoste, a quelle non ancora esperite né chiamate in causa esistenti nella società e che magari, fuori della politica, sono all’opera nei girotondi e nei movimenti, nel terzo settore, nel volontariato, nella cosiddetta società civile; e forse con questo nome lo si può fare.
Può darsi che ci sbagliamo. Ma questa non è la proposta di una ideologia, tanto meno è la rivendicazione di una identità; è il ricorso a un rimedio: un pharmacon, come ha detto qualcuno. Un antidoto alla frantumazione sociale, in funzione di unità, e un antidoto anche all’appropriazione strumentale della fede, di cui la destra al potere fa largo uso, lei con i suoi atei devoti. Il pharmacon per gli antichi era insieme medicina e veleno. L’antidoto reca in sé una particella della tossina che vuole combattere. Non ci vogliono certezze, ci vuole umiltà per correre questo rischio.
Si tratta di una convocazione alla giustizia, dei cristiani che come tali sono laici, e dei laici anche se non sono cristiani. Non tanto per un incontro tra loro [questo già avviene in molti altri luoghi, ad esempio nel Partito democratico] quanto per dare aiuto all’incontro degli altri, per mettersi al servizio della società tutta intera, per rimettere in funzione quella colla che si è perduta, e che il denaro non è riuscito a rimpiazzare. Se deve essere, come abbiamo detto, un «Servizio politico», questo è nella direzione di una mediazione alta, che non è né il dialogo che un giorno si fa e l’altro si nega, né l’accordo tattico che snatura i contraenti, né il compromesso deteriore; ma è lo sforzo di promuovere i modelli sociali più alti, le soluzioni più attente agli interessi e ai valori di tutti. Una mediazione alta, proiettata sulle cose da fare, nella quale ogni singola parte possa trovare una ragione e crescere essa stessa.

Una riforma proporzionalistica del sistema elettorale e politico
Ciò nell’ambito della sinistra, di cui rivendichiamo la dignità, pur nelle sue divisioni, ma anche oltre la sinistra. La contraddizione tra destra e sinistra certamente non può essere oscurata. In politica non esistono cose che non sono «né di destra né di sinistra», e se ci fossero sarebbero anch’esse di destra perché pretenderebbero sottrarsi alla verifica della critica e al vaglio della giustizia. Noi assumiamo questa contraddizione, e perciò la nostra scelta di campo è a sinistra, ma la assumiamo con dolore, perché in Italia il conflitto è stato portato al parossismo da un sistema istituzionale ed elettorale che si è impiccato al bipolarismo, e che ha trasformato la dialettica tra destra e sinistra in una spaccatura verticale tra due Italie che si detestano e si odiano e rendono impossibile perfino il pensiero di un bene comune. La dialettica politica va mantenuta, ma questa lacerazione va sanata. Per questo ci vuole una mediazione alta. Ma essa non va affidata al buonismo, bensì a una riforma del sistema elettorale e politico che dia una più ricca articolazione e proporzionalità alla rappresentanza, che non cancelli le minoranze, che ristabilisca uno snodo tra governo e parlamento perché, se i governi passano, i parlamenti restino.

Il logo: l’ulivo della pace, l’emiciclo della Costituzione, la colomba della laicità
Ed eccoci al logo che vi proponiamo. Esso deriva da un vecchio logo di Pace e diritti, e consta di tre simboli: un emiciclo, una colomba, e un ramoscello d’olivo. Essi corrispondono alle tre nostre opzioni programmatiche: la Costituzione, la laicità, la pace.
La pace è il ramoscello d’olivo verde.
La Costituzione è l’emiciclo parlamentare, perché senza rappresentanza non c’è costituzione e non c’è democrazia. Costituzione vuol dire costituzionalismo, cioè diritti certi, garanzie efficaci, principi fondamentali e conquiste irreversibili, che nemmeno le maggioranze possono revocare. L’emiciclo, come è nella nostra tradizione, significa che c’è un vasto arco di forze, che si parlano tra loro, ma che poi convergono verso il polo della decisione comune, legislazione e governo; non è, come nella tradizione anglosassone, un’aula squadrata come un rettangolo di gioco dove due sole squadre combattono una partita ad oltranza, fino ai rigori. Il colore sui segmenti dell’emiciclo non c’è, perché i colori ce li devono mettere gli elettori; e quegli spazi bianchi da riempire col colore suggeriscono che a riempirlo non debba essere il nero.
La laicità, infine, è la colomba. La laicità, in positivo, non è solo un corretto rapporto tra istituzioni civili ed ecclesiastiche; più ancora è il rapporto, senza confusione e senza divisione, tra il divino e l’umano, senza che il divino assorba l’umano nel sacro e senza che l’umano profani il divino nel secolo. È lo spazio della libertà umana, che scocca come una scintilla tra il dito dell’uomo e il dito di Dio. Di conseguenza la laicità è stare nella condizione secolare e comune di tutti gli uomini e di tutte le donne, prima di ogni loro differenziazione di rango e di rito, e prendersi cura del mondo, perché non ci sia più alcun diluvio. La colomba è un simbolo adeguato di questa condizione comune, perché essa volò sulle acque per l’umanità tutta intera, per dirle di uscire di nuovo nel mondo a prenderne cura, prima di ogni religione e di ogni separazione, prima della divisione di Babele, prima del discrimine tra eletti e non eletti, tra tribù di laici e di leviti; essa è il simbolo dell’unità di tutte le creature, uomini e animali, salvati insieme dalle acque, ed è un simbolo interculturale e interreligioso, da Picasso alle piazze di tutto il mondo dove si manifesta per la pace.
La colomba è un simbolo adeguato della laicità, perché essa vola da una terra all’altra, da un pensiero all’altro, da Oriente a Occidente. C’è una bellissima definizione della laicità che viene dalla tradizione ebraica; l’ha proposta Emmanuel Lévinas in un libro del 1960, «La laicité et la pensée d’Israel». Dice: «Se il particolarismo di una religione si mette al servizio della pace, al punto che i suoi fedeli sentano l’assenza di questa pace come l’assenza del loro Dio, allora la religione raggiunge l’ideale della laicità». E il riferimento a Gandhi, che prima abbiamo fatto, ci porta a un’altra illuminazione. In un suo discorso del 1947, che nell’agosto scorso, per grazioso dono, la Telecom ha fatto pubblicare su tutti i giornali, il Mahatma denunciava la crisi e offriva per sanarla la saggezza che viene dall’Oriente, dall’Asia. L’Occidente, diceva, aveva imbottigliato la sua spinta universalistica nella conquista e nel dominio coloniale; dall’Asia doveva venire una nuova conquista, che sarebbe stata amata dallo stesso Occidente: la conquista della verità e dell’amore. Ciò sarebbe stato il frutto della saggezza, ma sorprendentemente Gandhi metteva in questa salvezza che viene dall’Oriente non solo Zoroastro o Budda, ma anche Mosè e Gesù, e dunque il cristianesimo nella sua forma nascente, apostolica ed evangelica, prima della «trasfigurazione» che, secondo Gandhi, aveva subito in Occidente. Dunque la laicità di una «sinistra cristiana», vuol dire rompere i limiti, anche culturali, dell’Italia e dell’Occidente, assumere un’istanza internazionalistica, rispettare e onorare il pluralismo delle religioni, e in prospettiva cercare di stringere «giovani legami», come diceva Italo Mancini, con altri cristiani e altri uomini e donne che in tutto il mondo lottano per una ridefinizione dei codici, degli usi e delle culture del rapporto umano e sociale a livello politico mondiale.

L’arancione, il colore delle vittime
Ma c’è l’arancione. Come simbolo della condizione laica e comune, il colore della colomba è arancione, perché è il colore delle vittime, e non c’è condizione umana più comune e diffusa di questa. Arancione è il colore della veste dei bonzi buddisti che vedemmo bruciare nelle vie di Saigon per resistere all’occupazione americana; è il colore dei monaci birmani e tibetani che lottano contro la repressione interna ed esterna; è il colore dei prigionieri musulmani illegittimamente detenuti a Guantanamo; la loro tuta arancione, che viene oscenamente mostrata in tv, è il nuovo «habeas corpus», il rovesciamento del vecchio istituto giuridico inglese che esigeva la visibilità dei prigionieri, perché ne fosse assicurata l’inviolabilità e la salvaguardia da ogni detenzione illegale.
Il mondo è pieno di vittime. Poveri, affamati, oppressi, profughi, musulmani, indù, cattolici, sans papiers, vittime del lavoro, vittime dei brevetti, 6 milioni di bambini ammalati: quella di vittima è una condizione trasversale ai mari e ai continenti, alle religioni e alle culture. La maggior parte di loro non sono vittime necessarie; esse sono sacrificate per noi, in base alla vecchia ideologia, riflesso di un sacro violento, secondo cui per il bene degli uni è necessario il sacrificio degli altri. È l’etica della ragion di Stato. Nella logica del potere, una detenzione illegale a Guantanamo o una strage di talebani in Afghanistan vuol dire che il Paese è sicuro.
L’arancione significa allora combattere per togliere ogni legittimazione politica, economica o religiosa al sacrificio, a cominciare da quel sacrificio di massa che è la guerra; significa assumere come problema politico la condizione delle vittime e, nel conflitto, stare dalla parte loro.
Una colomba arancione è una contraddizione, un ossimoro. Ma è la raffigurazione di una pace che è trattenuta dalla violenza, ed è la protesta contro il fatto che la condizione umana più comune sia rappresentata proprio dalle vittime. La nostra intenzione è di lottare perché la colomba possa tornare ad essere bianca. Allora l’arancione potrebbe essere solo il colore delle arance d’Israele della Palestina e della Sicilia, con cui disegnare un arco di pace tra le due rive del Mediterraneo, che è il luogo da cui la pace deve cominciare.